Perché questo articolo potrebbe interessarti? La Sicilia alle prese con una drammatica crisi idrica: acqua razionata, invasi sempre più a secco, piogge diminuite anche del 90% rispetto alla media. Ma il problema è soprattutto legato alla (mancata) opera dell’uomo: pesano sull’isola le tante infrastrutture fatiscenti e le tante incompiute.
È il mese di gennaio del 2011: al comune di Agrigento l’allora presidente della Regione, Raffaele Lombardo, durante una visita ha annunciato lo stanziamento dei fondi necessari per la nuova rete idrica cittadina. Un’opera talmente attesa nella città dei templi che, per questo annuncio, allo stesso Lombardo è stata concessa la cittadinanza onoraria.
Per qualche motivo però, i lavori non sono mai partiti. Ma nulla sembra essere perduto: nel settembre 2016, sotto la cornice del tempio della Concordia, è addirittura l’allora presidente del consiglio in persona, Matteo Renzi, a fare il lieto annuncio. Agrigento, finalmente, grazie ai fondi del patto per il sud, avrà una condotta nuova di zecca. Due annunci diversi di due governi, regionale il primo e nazionale il secondo, dai colori diversi. Entrambi però, al momento, appaiono disattesi: nella città siciliana, nel corso degli anni non un solo cantiere è stato aperto per rimettere in sesto una condotta che, da tempo, presenta il conto di incurie e mancati interventi.
La sete in Sicilia è soprattutto infrastrutturale
Agrigento è solo un esempio della sete che sta attanagliando tutti i siciliani. Forse è il più eclatante per tanti motivi: è una delle principali mete turistiche dell’isola, il prossimo anno sarà capitale italiana della cultura, ma soprattutto la questione legata alla rete idrica rappresenta la più classica delle tragicommedie in salsa sicula. La nuova infrastruttura non è attesa soltanto dall’era dell’annuncio di Lombardo, ma addirittura dall’immediato dopoguerra. Già negli anni ’60 i cittadini lamentavano turni molto lunghi nell’erogazione idrica e già in quel periodo la politica, locale e non, prometteva interventi.
Oggi in alcuni quartieri l’acqua può mancare anche per cinque giorni consecutivi. I commercianti sono divisi: c’è chi vorrebbe evitare di parlare sui social di quanto sta accadendo, per evitare disdette in vista della stagione turistica, c’è chi invece ne parla per avere immediati provvedimenti e salvare il flusso di visitatori che si annuncia importante. Lo scorso primo giugno la città è scesa in piazza, con un corteo terminato dinnanzi l’ingresso del comune.
Un luogo non casuale: il sindaco, Franco Micciché, è nell’occhio del ciclone per il finanziamento, l’ennesimo, perso dall’ente da lui guidato per il rifacimento delle condotte. Dal canto suo, il primo cittadino ha evidenziato che le responsabilità non sono sue e che quel bando conteneva tempistiche non rispettabili. Dunque, occorrerà adesso presentare un nuovo progetto e trovare i relativi fondi.
E nel frattempo? Micciché nei mesi scorsi ha minacciato di restituire il titolo di capitale della cultura se, chi sta sopra di lui, non avesse trovato le soluzioni. Perché, in fondo, in Sicilia spesso il problema è proprio questo: per un’opera che non si fa e per una problematica non risolta, c’è sempre un viceré a cui appellarsi o a cui scaricare ogni responsabilità.
Dove arrivano le responsabilità del cambiamento climatico
Alcuni abitanti di San Giovanni Gemini, comune dell’entroterra siciliano, nel richiamare ciascuno alle proprie responsabilità si sono spinti oltre, arrivando ad appellarsi alle sfere più alte in assoluto: ad aprile infatti, vista la penuria di acqua, si sono riuniti in preghiera invocando nuove piogge. C’è del vero in questa loro azione: una parte di responsabilità dell’attuale sete siciliana è da attribuire alla natura.
A spiegarlo ai microfoni di True-news.it è Stefano Albanese, presidente dell’associazione Centro Meteo Sicilia. Con i suoi soci sparsi in tutte le province, dal 2018 Albanese è impegnato a monitorare costantemente il territorio dell’isola, sul sito e nei database è possibile andare a ripercorrere l’andamento delle piogge e dei fenomeni atmosferici in Sicilia degli ultimi anni e non solo.
“Il problema della siccità qui parte da lontano – ha dichiarato Albanese – e nell’ultimo anno il problema si è acuito. L’estate del 2023 ha fatto il suo dovere, si è rivelata secca esattamente come tutte le altre, il problema però è che a essere secco è stato anche l’autunno successivo e anche l’inverno. La primavera ha visto qualche pioggia in più, ma non è bastato a colmare il gap delle stagioni precedenti”.
Dunque, ha piovuto molto di meno e i dati lo dimostrano: “Addirittura – ha proseguito Albanese – ci sono zone del comparto etneo che hanno visto lo scorso anno una diminuzione del 90% della quantità di pioggia rispetto alla media, fenomeno che sta comportando anche un inquietante abbassamento delle falde acquifere”.
Chi doveva intervenire e non l’ha fatto
Nell’attuale situazione di emergenza, c’è quindi lo zampino del cambiamento climatico. A sottolinearlo è ancora il presidente del Centro Meteo Siciliano: “L’estremizzazione del clima – ha affermato Albanese – fa parte del cambiamento climatico. Il nostro è l’altro lato della medaglia di quanto sta accadendo nel nord Italia, si assiste infatti a configurazioni meteo che rimangono confinate in determinate aree per tantissimo tempo, anche per un anno. Quindi capita che per diversi mesi da una parte piove tanto, e infatti nel nord hanno un surplus d’acqua, dall’altra non piove proprio”.
Ma, fa notare Albanese, quando la siccità ha colpito il settentrione prima dell’attuale configurazione piovosa, quelle regioni seppur ridotte in ginocchio hanno saputo e potuto resistere: “Noi in Sicilia paghiamo lo scotto di opere mai realizzate”, ha aggiunto.
E allora si torna al punto di partenza: l’isola, in primo luogo, ha sete di nuove infrastrutture. O, quantomeno, di piani di manutenzione per quelle attuali: “La crisi idrica non ha colore politico – è il pensiero di Albanese – si sbaglia approccio da anni e a più livelli”. Quando in autunno è mancato l’apporto stagionale di piogge, si doveva iniziare a intervenire. Anche perché la Sicilia partiva già da pregresse situazioni di deficit sia di precipitazioni che di infrastrutture.
Palermo si è accorta del problema soltanto a febbraio, quando la giunta regionale guidata da Renato Schifani ha proclamato lo stato di calamità. Da lì sono state aperte tutte le procedure burocratiche per tamponare l’emergenza: si è proceduto alla nomina di Dario Cartabellotta quale commissario per l’emergenza, poi è stata chiesta la dichiarazione di emergenza nazionale al consiglio dei ministri, passando per la presentazione di un piano da venti milioni di Euro per la posa delle prime opere.
Cosa si prevede per il futuro
In poche parole, l’isola da decenni attende interventi strutturali. E quando la natura ha messo del suo nell’acuire una crisi già profonda, ci si è mossi con le consuete corse dell’ultimo minuto. Il problema è adesso far capire a tutti i governi interessati che occorre andare oltre la “semplice” emergenza. Con i venti milioni stanziati, si procederà con la costruzione di bypass, condotte di collegamento, nuovi pozzi e piccoli interventi di riparazione.
Per il dopo, c’è un piano da 150 milioni di Euro predisposto da Siciliacque, l’ente partecipato al 25% dalla Regione Siciliana e al 75% da Italgas. Sono previsti altri interventi, questa volta di medio termine. Da Roma inoltre, è stato assicurato che 90 milioni verranno stornati, grazie al recente accordo sui fondi di sviluppo 2021-2027, per la riattivazione dei dissalatori di Gela, Trapani e Porto Empedocle.
L’impressione però è che serva ancora altro. Forse in autunno tornerà a piovere e dell’emergenza ci si dimenticherà. Ma senza interventi drastici la sete si ripresenterà. Con condotte che fanno perdere il 52% dell’acqua prelevata dai bacini idrici e con interventi, come nel caso di Agrigento, attesi e mai realizzati da decenni, la crisi in Sicilia non mancherà di presentare il suo conto.