Un sindacalista è stato ucciso mentre manifestava per i diritti dei lavoratori. In Italia, nel 2021.
L’omicidio di Adil Belakhdim non è derubricabile a semplice “incidente” e non può essere catalogato come morte “sul lavoro”. È una morte “di lavoro”, tragica conseguenza della recrudescenza della conflittualità sociale nel nostro paese.
Nuova stagione di tensioni (post Covid) in arrivo?
La sospensione pandemica si va scongelando e sta emergendo una nuova stagione di tensioni. Il lavoro è un fronte tornato caldo, che rischia di precipitare nel torbido. La morta di Belakhdim è solo l’ultimo tornante di una spirale di violenza che viaggia in parallelo con le riaperture, facendo scivolare il nostro paese verso abissi inquietanti, ma non sconosciuti e nemmeno imprevedibili.
Adil Belakhdim, sindacalista ucciso, è l’ultimo di una tragica serie
La morte di Novara è l’ultimo episodio di una scia di violenza che da settimane insanguina i cancelli delle fabbriche italiane. Pochi giorni prima a Tavazzano, provincia di Lodi, un altro presidio dei lavoratori della logistica era stato al centro di violenze inaudite per un paese civile. Un video mostra un commando di operai e bodyguard della Zampieri, ditta che lavora per Fedex, che aggredisce i lavoratori in sciopero della stessa azienda. Per una decina di minuti picchiatori armati di bastoni, sassi e altri oggetti contundenti agiscono indisturbati sotto lo sguardo inerme delle forze dell’ordine. Un lavoratore, Abdelhamid Elazab, ha rischiato di fare la fine di Adil Belakhdim: è stato portato privo di conoscenza all’ospedale, dopo essere stato colpito alla testa da un bancale.
Prato, operai della Textprint presi a pugni dai dirigenti dell’azienda
La notizia è passata distratta in pochi notiziari, bissata poco dopo da altre immagini di scontri violenti. A Prato gli operai della Textprint sono stati presi a pugni e mattonate dai dirigenti dell’azienda. Ancora un video, girato col cellulare da un lavoratore, mostra l’amministratore delegato colpire un operaio con un mattone, mentre i suoi scagnozzi malmenavano altri operai e distruggevano il presidio.
In Italia si va sdoganando la violenza come strumento per risolvere le contese sociali, una dinamica che riporta alla memoria stagioni insanguinate della nostra storia: Biennio Rosso, Ventennio fascista, anni di piombo e stragi di mafia. A Novara, Lodi e Prato si è assisto a immagini che riportano indietro di un secolo. Scene da 1921, che ricordano come da più di un secolo il mondo del lavoro sia il teatro di un conflitto violento che sprigiona violenza e morte. Quasi sempre a farne le spese sono i lavoratori o chi ne tutela gli interessi.
Breve storia 1921-2021 sui morti di lavoro: le occupazioni e proteste del “Biennio Rosso”
Il secolo breve in Italia è cominciato all’insegna delle lotte per le rivendicazioni violente di contadini e operai. Tra il 1919 e il 1920 ha luogo il cosiddetto “Biennio Rosso”, una stagione di occupazioni e serrate armate dei lavoratori, a cui proprietari terrieri e classi medie terrorizzati dal “pericolo rosso” reagiscono con la forza e aprendo la strada alla dittatura fascista. Alle base del successo del movimento di Mussolini c’è lo squadrismo, che porta alla riappropriazione con la forza delle conquiste del movimento operaio e oltre tremila morti violente in Italia tra il 1919 e il 1924 sui due fronti.
Il fascismo e gli anni di Piombo
I sindacalisti Bruno Buozzi e Spartaco Lavagnini
La violenza non viene abbandonata dal fascismo, che anche dopo la Marcia su Roma continua a trovare un bersaglio prediletto negli operai e nei sindacalisti come Bruno Buozzi e Spartaco Lavagnini. Un retaggio che viene ben presto emulato dalla mafia, che inizia a reprimere nel sangue le rivendicazioni dei lavoratori già a fine Ottocento: da allora in Sicilia sono stati uccisi almeno 54 sindacalisti. L’episodio più noto di questa triste storia di sangue è Portella della Ginestra, un nome primaverile dietro cui si cela la strage di undici operai e contadini, uccisi a raffiche di mitra il 1 maggio 1947 dagli uomini di Salvatore Giuliano.
I sindacalisti Guido Rossa e Bruno Labate
Al centro della violenza degli anni di piombo rimane la questione sociale: luoghi simbolo del mondo del lavoro, come la Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana, diventano teatri di stragi. Fabbriche e sindacati diventano centri di reclutamento e propaganda, gambizzazioni e rapimenti. La violenza terroristica rossa e nera uccide 350 persone tra il 1969 e il 1982, colpendo anche molti operai e sindacalisti come Guido Rossa e Bruno Labate.
I giuslavoristi Massimo d’Antona e Marco Biagi
Il piombo si scioglie negli anni Ottanta, con la stagione della Concertazione: le sigle terroristiche lasciano il posto alle parti sociali, scioperi e violenze vengono sostituiti dal dialogo e dagli accordi interconfederali. In un clima di prosperità edonistica, la conflittualità sociale sembra finalmente essere un lontano ricordo, ma ecco che a cavallo del nuovo millennio irrompe l’ultima stagione di violenza politica estremistica, che colpisce proprio figure di spicco della riforma del mondo del lavoro: i giuslavoristi Massimo d’Antona e Marco Biagi.
Morti di lavoro, una catena di sangue da fermare
Nel bene, e soprattutto nel male, il lavoro è il fulcro delle trasformazioni e delle tensioni della società italiana. È l’epicentro di cambiamenti che spesso sono impercettibili, ma in alcune fasi storiche diventano conflittuali. E allora è bene preoccuparsene, o almeno occuparsene: l’escalation di violenze fuori dai cancelli delle fabbriche rischia di essere il preludio a una nuova stagione di sangue in Italia.
*articolo a cura di Stefano Marrone