A Mario Draghi hanno confessato le loro preoccupazioni. Tanto simili e tanto diverse. Il premier incaricato, destinato a guidare l’esecutivo col più largo consenso parlamentare mai visto (o quasi), ha incontrato le parti sociali e ciascuna, a modo suo, ha affrontato il nodo occupazione. Perché a pandemia tutt’altro che sconfitta – prima di guardare a come spendere i 209 miliardi da Recovery – ciascuno pensa di sopravvivere (primum vivere deinde philosophari). “Noi non stiamo dicendo semplicemente: proroghiamo il blocco dei licenziamenti per tutti, noi stiamo dicendo che serve una vera riforma degli ammortizzatori sociali, che sia in grado di cogliere le differenze delle attività. Perché ci sono settori in ginocchio, come il turismo, e non si mettono in piedi e in un mese o due e vanno protetti quei lavoratori se non si vuole una bomba sociale”, ha spiegato Maurizio Landini.
“Le priorità sono l’occupazione – crearne di nuova difendendo quella che c’è – e la salute, quindi il piano vaccinale gli investimenti sulla sanità pubblica”. Parole come pietre, per convincere Draghi che il cuore del problema è il lavoro. Ma anche Carlo Bonomi ha guardato nella stessa direzione: “dalla riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro alla riforma della pubblica amministrazione e delle sue procedure, dalla necessità di una grande alleanza pubblico-privato per moltiplicare gli investimenti e concentrarli laddove più servono alla ripresa del Paese, tenendo in considerazione il peso del debito emergenziale che le imprese hanno contratto, alla riforma del fisco, alla sostenibilità generale della finanza pubblica visto l’andamento del debito”. Per una volta (anche se con sfumature assai diverse) Confindustria e sindacati sembrano chiedere al governo le stesse cose. Perché senza ripresa e senza lavoro la pandemia non può essere sconfitta.