Perché leggere questo articolo? Le norme sul lavoro da remoto, comunemente detto smart working, introdotte in pandemia sono scadute il 31 marzo scorso. Ecco cosa comporta la fine dello smart working.
Stop allo smart working semplificato, si torna alle vecchie regole. Il caro “vecchio” lavoro da remoto forse l’unica cosa buona che ci ha lasciato in dote la pandemia va in pensione. Il 1° aprile sono terminate le agevolazioni e si torna alle regole precedenti. Norme vecchie, forse non adeguate ai tempi. Smart working, si torna alle regole pre covid: salvo accordi individuali con il proprio datore di lavoro, stop infatti alle procedure semplificate per i cosiddetti fragili, cioè affetti da patologie gravi, e per i genitori di minori sotto i 14 anni. Come se la pandemia e il fenomeno delle grandi dimissioni non fossero mai successi.
Lo smart working era in crescita? Togliamolo
Da fatto, oggi è il primo giorno di rientro al lavoro dalle vacanze, ed è il giorno zero in cui lo smart working da pilastro della nostre economia viene ridotto ad accessorio. Da necessità, si trasforma in eccezione. E’ il caso di dirlo: oggi tutti, ma proprio tutti, tornano in ufficio. A meno di un accordo privato da datore di lavoro e dipendente. Per tutti gli altri lavoratori, lo smart working ritorna al regime ordinario regolato dalla legge n. 81/2017. Vengono quindi meno gran parte delle semplificazioni che erano ancora previste per genitori con figli under 14 e i lavoratori fragili fino al 31 marzo 2024.
Eppure, il fenomeno era in crescita. Lo smart working era improvvisamente comparso nei nostri vocabolari con la pandemia, conoscendo un’improvvisa e drastica impennata nel 2020. In piena emergenza un terzo dei lavoratori italiani erano impiegati da remoto: oltre 6 milioni. Secondo uno studio del Politecnico di Milano, il fenomeno – dopo l’inevitabile calo col ritorno alla normalità post-Covid – resta in crescita. Nel 2023 i lavoratori da remoto sono stati 3 milioni 585 mila, sei volte in più rispetto all’epoca pre-pandemia. I lavoratori in smart working erano 570mila nel 2018, si stima che saranno 3 milioni e 650 mila nel 2024.
Che ne sarà degli effetti positivi?
Tra gli effetti positivi dello smart working c’erano quelli ambientali. Lo studio del Politecnico ha calcolato che due giorni di lavoro da remoto evitano le emissioni di C02, grazie alle riduzioni degli spostamenti. Negli anni ci sono state varie deroghe. L’ultima proroga è stata decisa lo scorso ottobre con il decreto “Anticipi”, che ha fissato la scadenza al 31 marzo del 2024. La norma non è più stata modificata, e un’eventuale proroga non è stata inclusa nemmeno nell’ultimo decreto “Milleproroghe”, la legge che viene approvata ogni anno proprio per prorogare la validità di alcune norme in scadenza.
Da domani si torna invece al modello introdotto nel 2017 sulla flessibilità organizzativa. La materia rimane soggetta ad accordi privati tra azienda e lavoratore. Usufruirne non sarà dunque più un diritto, ma una possibilità. Nell’accordo dovrà essere specificata la modalità, la durata e il luogo adatto allo svolgimento dello smart working. Ci saranno comunque delle priorità nella gestione delle richieste. Lavoratori con figli under-12, con parenti con disabilità, ma anche over-55 potranno essere maggiormente tutelati. Ma sarà sempre l’azienda a decidere.
Lo smart working ha cambiato il modo di intendere il lavoro
Quello che è certo è che lo smart working ha radicalmente cambiato il modo di intendere il lavoro, nella sua conciliazione con la vita. Tanto che in settimana in Commissione alla Camera si discuterà della settimana corta. Lo strumento nasceva dall’immaginare una modalità per rendere la prestazione più flessibile rispetto ai paradigmi della subordinazione classica, legata al tempo ed allo spazio della prestazione di lavoro. Uno strumento funzionale a un ammodernamento ‘in parallelo’ delle organizzazioni produttive e della prestazione lavorativa. Negli anni si è rivelato più appannaggio delle multinazionali e di grandi imprese. E c’è chi intravede lo spettro della pandemia passata aggirarsi tra gli uffici sempre più vuoti del mondo. Il lavoro da remoto, determinante durante il Covid, potrebbe contribuire a segnare un’irreversibile crisi immobiliare. Insomma, il dibattito resta ancora aperto, ma lo smart working va in pensione.