Dove non è arrivata la mafia, c’è riuscita la burocrazia: Telejato, tv che trasmette nel territorio tra Partinico e Corleone, emittente diventata famosa per le battaglie antimafia del suo fondatore e direttore Pino Maniaci, nata nel 1999, ha dovuto interrompere le trasmissioni.
Dopo 33 anni di battaglie civili, che sono costate a Maniaci 380 querele e minacce della mafia non sempre velate (gli uccisero perfino il cane), la piccola televisione siciliana ha dovuto soccombere davanti al nuovo digitale terrestre.
Il post di Maniaci: “Una giornata dolorosa”
A spiegare come stanno le cose è stato lo stesso Maniaci con un post su Facebook: “Oggi è una giornata dolorosa. Volevo non arrivasse mai questo 5 maggio ma purtroppo eccoci qui. Quelli che vedete in questo video sono i nostri impianti e oggi a me è toccato il compito più duro, quello di staccare tutto. Da questo momento in poi il segnale di Telejato Notizie è spento. Stentiamo ancora a crederci ma purtroppo questa è la realtà dei fatti. Un grazie dal profondo del cuore va a tutte le persone che in questi anni hanno collaborato con noi, a chi è rimasto, a chi ogni tanto torna, a chi non c’è più, a chi continuerà ad esserci. Però non posso, non voglio pensare che sia tutto finito. Noi siamo pronti a ripartire, anzi, non vediamo l’ora ma per passare al nuovo digitale terrestre, lo sapete, servono quarantamila euro. Questo è l’ennesimo appello che rivolgo a voi, fedeli telespettatori: non lasciateci soli. Abbiamo ancora tante cose da raccontarvi”.
Le frequenze occupate da Telejato, ha spiegato lo stesso giornalista, «sono state vendute al 5g. In Sicilia ha vinto l’appalto la Rai, in altre regioni Mediaset. Adesso per avere un canale tutto nostro è davvero tutto più difficile». Servono, appunto, quarantamila euro.
Poche frequenze e ripartizione discriminatoria
Una situazione, quella della piccola ma combattiva emittente siciliana, in cui rischiano di trovarsi, in tutta Italia, 450 emittenti televisive piccole e medie. L’allarme è stato lanciato dalla Rea (Radiotelevisioni europee associate), che già in gennaio ha fatto partire una petizione per scongiurare – stando ai calcoli dell’associazione – la perdita di 5mila posti di lavoro, mille dei quali di natura giornalistica.
Le emittenti televisive locali rischiano la chiusura, secondo la Rea, per tre ordini di motivi: «la mancanza delle frequenze necessarie per consentire la prosecuzione dell’attività editoriale svolta incessantemente da 46 anni dalle locali grazie alla sentenza della Corte 28 luglio 1976, n. 202, gli elevati costi d’affitto della capacità trasmissiva necessaria a diffondere i programmi con il nuovo standard DVB-T2, una discriminatoria ripartizione del “fondo per il pluralismo dell’informazione e nuove tecnologie” (DPR 146/17) che assegna l’80,75% dei contributi statali a un ristrettissimo numero di emittenti che in sette anni ha incassato circa 770 milioni di euro lasciando sul lastrico le rimanenti 1.450 emittenti del settore».
I monopolisti Rai e Ei Towers (leggi Mediaset)
Per trasmettere con il nuovo standard, un’emittente, spiegano dalla Rea, avrebbe bisogno mediamente di 70mila euro all’anno, più Iva e oneri accessori, “affitti insostenibili imposti senza regole dai nuovi monopolisti RAI e Ei Towers per ragioni di business piuttosto che di servizio d’interesse generale”.
Ei Towers è la società proprietaria dell’infrastruttura di rete necessaria alla trasmissione del segnale del Gruppo Mediaset, di cui faceva parte, tramite 1700 torri, ma svolge servizi anche per altri operatori radiotelevisivi e di telecomunicazione mobile. E non è altro che la vecchia Elettronica industriale che nel 1975 era di proprietà di Adriano Galliani. Come riporta il sito Calcio e finanza, “quotata sul Mercato telematico di Borsa Italiana e controllata da Mediaset fino al 2018, EI Towers è stata delistata a seguito di un’opa lanciata dal fondo F2I e dal gruppo del Biscione, che ha portato ad riassetto complessivo dell’azionariato. Attualmente F2I detiene il 60% del capitale di EI Towers, mentre il Gruppo Mediaset ha ancora in portafoglio il 40% delle azioni”.
«Un grosso affare per lo Stato»
Cominciato l’8 marzo scorso, lo switch off, ossia il passaggio dei canali televisivi verso l’alta definizione (HD), si completerà dal 1° gennaio 2023 il passaggio dallo standard di trasmissione digitale da DVB-T1 a DVB–T2. La rivoluzione del video HD (Alta Definizione) e del 5G ha sottratto 12 frequenze della banda 700 UHF (canali dal 49 al 60) agli operatori di rete per assegnarle ai telefonici. La data è quella del 30 giugno, quando molte reti televisive dovranno far posto alla telefonia liberando le frequenze.
“Un grosso affare per lo Stato”, secondo il presidente della Rea Antonio Diomede: “che tra la cessione della banda 800 più la 700 ha ricavato ben 5 miliardi di euro a discapito delle tv locali costrette a stringersi in una sola frequenza con codifica MEG-4 (detta anche H264) che può contenere al massimo 24 programmi regionali in SD (Standard Definition)”.
Il passaggio al nuovo digitale terrestre sta comportando un problema di ricezione del segnale (non tutte le emittenti locali sono attrezzate tecnicamente per trasmettere nel nuovo standard MPEG-4 e spesso le vecchie antenne di ricezione condominiali non sono orientate in direzione dei nuovi punti di emissione).
La protesta delle emittenti venete
A febbraio sedici emittenti televisive venete e della vicina provincia di Mantova avevano indirizzato una lettera congiunta al Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, al Sottosegretario con delega alle Comunicazioni, Anna Ascani, e componenti delle Commissioni V Bilancio e I Affari Costituzionali della Camera per segnalare che il cosiddetto switch off, in programma nella loro zona nei primi giorni di marzo, le obbligava a passare dalle frequenze utilizzate da liberare, per far spazio alla rete 5G all’unica frequenza pianificata nel Veneto, la cui gestione è stata assegnata a Raiway, correndo il rischio di “impedire a circa un milione e 300mila utenti su un totale di circa 5 milioni la visione delle tivù locali”.
Secondo i firmatari della lettera, “questa unica frequenza disponibile per il trasporto regionale delle emittenti locali è stata oltretutto assoggettata a dei vincoli radioelettrici che costituiscono, di fatto, insormontabili limitazioni che, pur garantendo una copertura teorica, ne pregiudicano l’effettivo servizio in quanto non sarà possibile una analoga ricevibilità dei segnali rispetto alle emittenti nazionali per ciò che concerne le direzioni di trasmissione ed il puntamento delle antenne riceventi degli utenti e la potenza dei segnali stessi”.
Minori ascolti, minori introiti pubblicitari
Mancanza di segnale, uguale minori ascolti, uguale meno pubblicità. Con la scomparsa di 5mila posti di lavoro e a tanti presidi di pluralismo e legalità, come Telejato, sul territorio.