Sparito. Il terrorismo si è completamente volatilizzato dalle pagine dei giornali, dalle agende dei governi e dal dibattito pubblico. Fra pochi mesi saranno 20 anni dal giorno in cui si materializzò nelle nostre vite un incubo che in quell’11 settembre 2001 imparammo a conoscere col nome di Al-Qaeda, per poi declinarsi in Isis. Fino ad arrivare alla cronaca di questi giorni pandemici in cui le sigle dell’orrore sembrano solo un lontano ricordo, coperto da spauracchi ben più quotidiani come crisi economica e malattia.
Ma i giorni dell’emergenza terroristica nel nostro paese sono veramente finiti o è solo un’estate di San Martino? Il professor Giampiero Giacomello, docente presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, è un esperto di pensiero strategico, cybersecurity, metodi di simulazione e wargames, in grado di analizzare la recente marginalizzazione mediatica del fenomeno terroristico e dei suoi derivati.
Professore, con la pandemia è definitivamente cessata l’emergenza terrorismo?
No, dato che il terrorismo, in varie forme, esiste da secoli, dubito che la pandemia lo farà scomparire. È tuttavia vero che la pandemia in pochi mesi ha inflitto colpi decisamente più letali di quanto il terrorismo abbia fatto in un’intera epoca.
Con l’aumento della connessione a dispositivi digitali a causa di lavoro in remoto e misure di prevenzione, quanto siamo protetti da cyber-attacchi?
Poco. Non tanto per dei limiti tecnologici dei nostri sistemi, quanto perché l’utente medio che si collega a un dispositivo è piuttosto disinformato e distratto.
Il virus non ha fermato le guerre, dal Nagorno al Corno d’Africa. Quanto possono incidere sulla nostra sicurezza interna le guerre dimenticate del mondo?
Poco. Sono guerre dimenticate per un valido motivo, ovvero la percezione dell’opinione pubblica è che non ci interessano, né ci riguardano.
Non si sente più parlare di foreign fighters. La radicalizzazione di soggetti estremisti è ancora un pericolo per il nostro paese?
Era un problema marginale prima, lo è ancora di più adesso. Un fenomeno che per numeri e ripercussioni ha un tasso di incisività decisamente ridotto nel nostro paese.
Il nostro è l’unico grande paese europeo a non aver subito attacchi jihadisti, per quale motivo?
Diversi. Uno dei motivi citati più di frequente è che la qualità dei nostri servizi di intelligence favorisce molto la prevenzione. Non lo metto in dubbio, ma più importante è il fatto che, onestamente, l’Italia ha un peso strategico marginale per molti gruppi terroristici, viene dunque sostanzialmente considerata come ‘zona neutra’ per evidenti vantaggi di logica: tutti gli altri paesi europei che sono stati attaccati dovrebbero avere servizi di intelligence scarsi? Non credo proprio.
In un futuro prossimo, prevede attacchi sul suolo italiano, e di quale natura?
Ne dubito molto, anche se non è possibile escludere errori di calcolo. I terroristi non rappresentano un attore unitario e monolitico e quindi ci potrebbero essere alcuni “cani sciolti”, individui interessati alla visibilità che in ogni caso un attacco ad un paese occidentale garantirebbe.
Alla luce dell’imponente sforzo finanziario degli stati in sanità e ripresa economica, si rischia che la sicurezza venga trascurata?
Senza dubbio lo sarà. Il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha già chiesto ai membri di non tagliare la difesa, ma tutti i paesi saranno sotto pressione per procedere a revisionare le spese da qualche parte di modo da spostarle sulla sanità. La difesa sarà uno dei settori principali da cui attingere.