Perché leggere questo articolo? Cdp è un player decisivo del sistema Paese. Guardiamo le partite chiave che la aspettano nel 2024. Anno in cui il suo vertice sarà rinnovato.
Cassa Depositi e Prestiti si avvia verso il 2024, anno decisivo per la banca pubblica di Via Goito. Sarà l’anno in cui scadrà il vertice costituito dal presidente Giovanni Gorno Tempini, nominato nel 2018 da Giuseppe Conte, e dall’ad Dario Scannapieco, scelto nel 2021 da Mario Draghi. La sfida per Cdp sarà quella di costruire traiettorie future e di sistema in un momento di evoluzione strutturale della governance. A maggior ragione importante se pensiamo al fatto che nel 2024 scadrà anche il mandato di Francesco Profumo della Compagnia di San Paolo all’Associazione delle Casse di Risparmio Italiane (Acri). L’Acri, i cui soci detengono una quota di minoranza di Cdp, di consuetudine, indica al governo il nome gradito per la presidenza, mentre l’azionista di riferimento, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, si occupa dell’amministratore delegato.
Le sfide future di Cdp
I nomi per possibili future poltrone in Cdp dopo la scadenza dell’attuale cda ad aprile sono ancora tutti da definire. Al vaglio del governo c’è sia la possibilità di riconfermare Scannapieco che una serie di ipotesi strutturali per un’evoluzione del management che vedono coinvolti, come nomi in lizza, manager del calibro di Antonio Turicchi, presidente di Ita, e Fabrizio Palenzona, presidente di Fondazione Crt. Ma a prescindere dei giri di poltrona il 2024 vedrà una serie di partite importanti per Cdp destinate a dover prendere corpo.
Resterà salva la funzione di Cdp come garante del risparmio postale e cassaforte delle partecipazioni di Stato. Aziende come Eni vedono le loro quote conferite alla Cassa, che ne trae dividendi e può orientare le spese all’indirizzo dei suoi programmi che vanno dal venture capital al private equity, passando per l’erogazione di fondi allo sviluppo sostenibile. Restano poi almeno tre importanti partite di cui andrà osservata l’evoluzione. Cdp, innanzitutto, passerà la mano su Tim: lo Stato tornerà, partner del fondo Kkr, direttamente come azionista in NetCo, la società che unirà la rete primaria e secondaria della telco nazionale. Questo consentirà a Cdp di dividere, sugli asset, la quota di partecipazione remunerativa da quella a maggior rischio, come il business delle telco.
La partita autostradale
Vi è poi la grande sfida di Autostrade per l’Italia. Nel 2021, lo ricordiamo, Cdp è divenuta col 51% l’azionista di riferimento di Hra, il consorzio che la vede alleata ai fondi Blackstone e Macquarie (24,5% ciascuno) e che controlla l’88% di Autostrade per l’Italia. In questa fase, complice la ripresa della mobilità a tutto campo dopo il Covid-19 e la spinta del Pnrr, “il mondo delle infrastrutture è parecchio vivace e anche redditizio”, ha scritto La Stampa. “Per dare qualche numero, Autostrade per l’Italia ha chiuso l’esercizio 2022 con ricavi per 4,17 miliardi di euro e un ebitda di 2,45 miliardi”, mentre “nel complesso, ossia considerando tutte le strade a pedaggio sul territorio italiano, secondo l’ultimo rapporto dell’Aiscat, nel 2022 tra pedaggi, canone aggiuntivo e Iva sono stati incassati 8,47 miliardi“.
Cdp è assieme a JpMorgan intenta a studiare il dossier di una possibile fusione tra Autostrade per l’Italia e Autostrada Torino-Milano (Astm), controllata dal Gruppo Gavio. Un’ipotesi che potrebbe rafforzare l’ipotesi di un “campione nazionale” in grado di agire anche con acquisizioni internazionali e aumenti degli investimenti infrastrutturali necessari a rendere moderna, efficientare e digitalizzare la rete.
Cdp e Stellantis tra cooperazione e scenari futuri
Last but not least, c’è almeno un tema fondamentale che andrà capito per analizzare quanto la banca pubblica potrà essere il regista delle future politiche industriali. Stiamo parlando della possibilità che Cdp diventi il veicolo dell’ingresso dello Stato italiano in Stellantis, analogamente a quanto fatto dalla Francia con Bpifrance. L’ipotesi, osteggiata da Exor e da John Elkann, è da tempo allo studio e vede sia settori della maggioranza del governo Meloni che esponenti di Confindustria attivi sostenitori.
L’ingresso di Cdp in Stellantis, sulla cui assenza di un solido azionista italiano addirittura il Copasir, l’organo di vigilanza sull’intelligence, ha nel 2022 posto il faro avrebbe sicuramente un respiro da grande operazione strategica. E se in Tim la dismissione dell’investimento ha una sua razionalità, in Stellantis l’ingresso dello Stato potrebbe essere messo a terra solo se mediato da un solido polo capace di gestire operativamente investimenti e strategie industriali. E di guardare alle catene del valore globali e alla diversificazione del business, necessaria nell’era della transizione elettrica, come Cdp. Il banco di prova è stato il sostegno di Via Goito all’insediamento in Serbia dell’ex Fiat per produrre la Panda elettrica. Possibile grazie alla dinamica attività di Via Goito e del suo braccio operativo per gli affari internazionali, Simest.
Cdp e l’anno delle nomine
Insomma, Cdp entra nell’anno delle nomine come un attore serio e determinante per le logiche del sistema-Paese. Il governo Meloni avrà il compito di rinnovarne il management. Ma molte delle linee di tendenza di una cassaforte capace di rilasciare risorse per investimenti strategici sono tracciate: in Cdp ci sarà sempre più spazio per ciò che guarda al lungo periodo. Individuare quali siano gli investimenti che puntano in tale direzione sarà la sfida del management.