Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’Italia ha abbandonato la Nuova Via della Seta ma non intende chiudere le porte in faccia alla Cina. In mezzo alle tensioni commerciali tra il Dragone e l’Ue, Roma sta cercando nuovi punti d’incontro con Pechino. Tra economia, business e cultura.
Il giorno da cerchiare di rosso sul calendario coincide con il 12 aprile. Quando, a Verona, prenderà il via il Business Forum Italia-Cina. Non un evento qualunque, bensì il potenziale trampolino di lancio per far ripartire gli affari lungo l’asse Roma-Pechino. In un momento, per altro, carico di tensioni geopolitiche tra l’Unione europea e lo stesso gigante asiatico.
Il forum è stato organizzato dal ministero degli Esteri italiano in collaborazione con l’Agenzia ICE e Confindustria. E mira, spiega Assolombarda, “ad offrire alle imprese italiane e cinesi l’occasione di confrontarsi sulle prospettive della cooperazione economica bilaterale in settori chiave per la crescita e lo sviluppo dei due Paesi”.
Per il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si tratta addirittura di un appuntamento “per riequilibrare i rapporti” tra Italia e Cina.
La parola chiave, dunque, è proprio equilibrio. Anche perché Roma è uscita dalla Nuova Via della Seta, ponendo fine ad ogni ambiguità geopolitica. Ma, numeri alla mano, sul fronte economico il governo Meloni sa di non poter fare a meno del canale commerciale cinese.
I due jolly dell’Italia
Altro che de-coupling e de-risking, due dei concetti più riferiti alla Cina e più ripetuti tra i corridoi di Bruxelles in queste settimane. L’Italia intende costruire un nuovo rapporto economico con Pechino nella stagione post Via della Seta.
In che modo? Facendo leva sul binomio formato da ricorrenze storiche e cultura. Il partenariato strategico globale tra Italia e Cina, ad esempio, compirà 20 anni nel corso del 2024. E l’esecutivo Meloni farà di tutto per rispolverarne l’importanza, così da proporlo alla controparte cinese come valido sostituto della rifiutata Belt and Road Initiative.
Dopo di che, sempre nel 2024, ricorrono i 700 anni dalla scomparsa di Marco Polo. Ecco, allora, che nella mattina dell’11 aprile, all’università Ca’ Foscari di Venezia, si terrà un’iniziativa culturale per sottolineare l’importanza del trait d’union tra Occidente e Oriente.
Business is business
I riflettori sono tuttavia puntati su Verona, dove è in realtà in agenda un doppio appuntamento. L’11 aprile, prima del citato Business Forum-Italia-Cina, si terrà infatti una Commissione economica mista alla quale parteciperanno, tra gli altri, Tajani e il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao.
La riunione sarà per l’Italia il “primo importante appuntamento di alto livello politico con la Cina nel 2024”, ha spiegato lo stesso Tajani.
Il giorno seguente spazio, invece, al Business Forum vero e proprio. Già definito un foro di dialogo che coinvolgerà i rappresentanti di tante società italiane e cinesi.
L’obiettivo dell’evento? Favorire la cooperazione sino-italiana nei settori prioritari e non solo quelli. Saranno in programma 4 tavoli tematici dedicati ai settori di agritech, e-commerce, investimenti e farmaceutico-biomedicale.
L’arte del pragmatismo
Tajani ha definito la Cina “un mercato fondamentale” per l’Italia, con tante imprese che vi operano o che vi esportano prodotti. Il ministro ha inoltre evidenziato come la dimensione economica sia “inscindibile” da quella culturale. La scelta di Venezia e Verona per gli eventi citati, non a caso, è legata alla volontà di accogliere la delegazione cinese “in un’area a forte vocazione imprenditoriale”.
Puntare sulla cultura per ottenere risultati in ambito diplomatico ed economico: la strategia scelta da Roma per non perdere il treno cinese sembrerebbe essere eccellente. Numeri alla mano, infatti, la Cina rischia di essere per il governo italiano un partner economico ancora troppo grande per pensare di poterlo sacrificare in nome della geopolitica.
L’Italia è al quarto posto tra i Paesi Ue per volume di esportazioni verso il Dragone, preceduta soltanto da Germania, Francia e Paesi Bassi. Il 2023, per la cronaca, si è chiuso con un risultato positivo dell’export italiano oltre Muraglia, in crescita del +16,8% e dal valore di 19,2 miliardi di euro. Nello stesso periodo, il valore aggregato dell’import italiano dalla Cina è stato pari a 47,6 miliardi di euro, in calo del 17,8% rispetto al 2022.
Il pragmatismo economico, in definitiva, potrebbe essere lo strumento giusto per consentire all’Italia di restare attaccata alla locomotiva Cina. Che ha sì perso velocità, ma che continua a dettare l’agenda commerciale di gran parte del pianeta.