Perché leggere questo articolo? Mentre la politica internazionale continua a discutere di transizione ecologica, la richiesta di combustibili fossili segna un nuovo record. Si ipotizza che nel 2050 la domanda di petrolio sarà dimezzata, intanto però questo sarà il decennio del fossile.
Abbiamo – anche a ragione, per carità – le orecchie piene di transizione ecologica. L’Unione europea ne ha fatto un pilastro della propria politica energetica, Biden spinge per un Green New Deal e addirittura la Cina si è sbilanciata a parlare di un balzo ecologista. La realtà dei fatti è però ben diversa. Chevron, il secondo produttore statunitense di petrolio e gas globale, in questi giorni ha comprato Hess con un’acquisizione in azioni del valore di 53 miliardi dollari. Solo due settimane fa la concorrente Exxon aveva acquistato l’operatore Pioneer Natural Resources per 58 miliardi di dollari. Questo perchè la richiesta di combustibili fossili non è mai stata così alta.
Il report sui combustibili fossili
Ad agosto, l’Agenza internazionale dell’Energia ha rilasciato un report sul Mercato del Petrolio che è tutto un programma. La domanda mondiale del combustibile fossile per eccellenza quest’anno raggiungerà quota 103 milioni di barili al giorno. Un aumento di circa 2,2 milioni di produzione giornaliera in un anno. Con buona pace delle guerre in Ucraina e Medio oriente che avrebbero dovuto minare la domanda globale. La tragica realtà dei fatti sembra invece andare in direzione contraria. Guerre e crisi spingono il mercato lontano dalle costose soluzioni ecologiche. La domanda di combustibili fossili – su tutti il carbone – sta tornando a crescere.
Le emissioni nel 2023 aumentano anziché diminuire
Nel suo outlook per il 2023, l’Agenzia Internazionale per l’Energia indica come “in questo scenario, la quota dei combustibili fossili nell’approvvigionamento energetico globale, che per decenni si è attestata intorno all’80%, diminuirà entro il 2030″. La stessa AIE, però, prevede il picco delle emissioni globali di anidride carbonica (CO2) legate ai combustibili fossili entro il 2025.
L’analisi preliminare per il 2023 mostra un aumento delle emissioni di CO2 da combustibili fossili di circa l’1% rispetto al 2022, probabilmente compreso tra lo 0,5% e l’1,5% e quasi certamente entro il 2%, in contrasto con gli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi, secondo cui dovrebbero diminuire di oltre il 5% l’anno. “Il continuo aumento rende ancora più difficile raggiungere gli obiettivi di Parigi ed espone il pianeta a impatti climatici ancora maggiori”. Lo mostrano i dati preliminari del rapporto annuale “Global Carbon Budget”, anticipati da Glen Peters del Global Carbon Project e ricercatore senior del Centro per la ricerca internazionale sul clima (CICERO) in Norvegia.
Viviamo nel decennio dei combustibili fossili
Una serie di indicatori mostra come il combustibile fossile sia tutt’altro che morti. Il 2022 ha segnato per il secondo anno di fila il record di produzione globale di energia elettrica legata al carbone. Il 2023 non dovrebbe essere da meno – visto il protrarsi della guerra in Ucraina a cui si è aggiunta la crisi in Medio oriente. Passando agli idrocarburi la situazione non cambi. Anzi, nel 2022 i governi mondiali hanno erogato la bellezza di 7mila miliardi in sussidi per gli idrocarburi: circa il 7% del Pil della Terra. Per alleviare la crisi energetica, gli Stati del mondo – coi nostri soldi – hanno speso il doppio di quanto non investano sull’Istruzione (circa il 4,3 del Pil globale) e i due terzi della Sanità (circa il 10%). Lo stesso studio del Fmi che ha calcolato i 7mila miliardi di spesa, ha mostrato come l’utilizzo di combustibili fossili causi circa 1 milione e mezzo di morti premature l’anno. Ma poco importa: il combustibile fossile è vivo e lotta contra di noi.