Fermi tutti, contrordine. Dopo un anno passato a immaginare un futuro di post-lavoro, south working e città desertificate dal lavoro remoto, arrivano i primi segnali in controtendenza. La notizia della morte degli uffici sarebbe stata grossolanamente esagerata, per omaggiare Mark Twain.
A sostenerlo è un sondaggio molto discusso che è stato fatto tra alcuni clienti di prestigio della Kpmg, gigante anglo-olandese e uno dei “Big Four” dei servizi alle imprese. Secondo questa ricerca le aziende non avrebbero più intenzione di abbandonare le proprie sedi, e nemmeno di cambiarle in favore di spazi più piccoli, pensati per il lavoro remoto o ibrido. Gli ultimi mesi hanno avuto un impatto notevole sulle posizioni dei partecipanti: lo scorso agosto il 69% dei chief executive che lavorano con Kpmg pensavano di “tagliare” i costi degli uffici; oggi solo il 17% si prepara a farlo.
Secondo Reuters, “i tagli o sono già stati fatti o sono stati cambiati a causa dell’impatto che il lavoro remoto non pianificato ed esteso ha avuto nei dipendenti”. Insomma, la pandemia ha offerto la peggiore pubblicità possibile allo smart working, che in realtà dovrebbe essere ben altro. Non qualcosa di imposto ed emergenziale.
Opinioni che non significano che la normalità è dietro l’angolo o che il mondo post-pandemia non sarà diverso. Ma forse confermano quanto le persone abbiano sofferto il remoto working pandemico e che, una volta vaccinati, molti siano pronti a tornare in ufficio. Sì, ma quando? Quasi la metà degli intervistati (45%) si aspetta il ritorno alla normalità per il 2022. Nel frattempo, vaccini, vaccini, vaccini – e un invito ai governi affinché spingano aziende e lavoratori a tornare al lavoro. O meglio, in ufficio.