Unicredit e Intesa Sanpaolo predicano bene e razzolano male. In particolare, il secondo gruppo bancario italiano, tra i primi 40 a livello mondiale, vanta un piano strategico 2022 – 2024 denominato “Unicredit Unlocked” che pone la sostenibilità tra gli elementi centrali. Ma solo a parole. Nei fatti continua a finanziare l’industria dei combustibili fossili, anche in Russia.
Le ricerche del collettivo Recommon
Lo fa notare, partendo dal report Banking On Climate Chaos, l’associazione Recommon, un collettivo di dieci persone con sede a Roma, “basato su un management di tipo orizzontale”, spiega a true-news.it, Daniela Finamore, campaigner finanza e clima. “Siamo impegnati a denunciare l’esposizione delle grandi multinazionali e delle grandi istituzioni finanziarie nei confronti dei combustibili fossili. E tutto quello che comporta in termini di ingiustizie sociali e ambientali”.
Il collettivo ha di recente denunciato come “anche quest’anno, le principali banche e società italiane abbiano deciso di procedere con assemblee a porte chiuse, senza contraddittorio e con scarsa visibilità mediatica. Il tutto in assoluta controtendenza rispetto ad altri paesi, come Gran Bretagna e Francia dove è stato assicurato il contraddittorio con gli azionisti”.
Unicredit e le false promesse di sostenibilità ambientale
Il loro occhio è puntato contro Unicredit che nel nuovo piano strategico 2022 – 202, denominato “Unicredit Unlocked” pone la sostenibilità tra gli elementi centrali, come dichiarano orgogliosi sul sito istituzionale: “Abbiamo un impegno naturale verso la sostenibilità. Crediamo nei fatti non nelle parole”.
I fatti, anzi i numeri, dicono altro. E cioè che – secondo l’analisi di Recommmon – “nel 2021 UniCredit ha aumentato i finanziamenti al settore del carbone del 28% rispetto all’anno precedente. In questa cascata di denaro destinato alla polvere nera “spiccano” i 226 milioni di dollari erogati a favore di RWE e i 136 milioni a favore di Sasol. La prima, che rientrerebbe tra i clienti tedeschi esentati dalla policy del gruppo, è la società energetica più inquinante d’Europa e anche la prima operante nel settore del carbone a opporsi per vie legali alla decisione di uno Stato di adempiere ai propri impegni sul clima, segnatamente facendo causa ai Paesi Bassi. La seconda è una società sudafricana che sta pianificando attività di espansione nel settore e non ha ancora indicato la data entro la quale eliminerà gradualmente il carbone dal suo business. Queste caratteristiche renderebbero il finanziamento nei confronti di Sasol una palese violazione della policy del gruppo relativa all’industria del carbone. Incalzata da ReCommon tramite lo strumento delle domande pre-assembleari, UniCredit ha preferito non fornire chiarimenti in merito al finanziamento a Sasol, schermandosi dietro la foglia di fico della riservatezza delle informazioni relative alla clientela”.
Anche nel settore Oil&Gas alle promesse non seguono i fatti. “Tra il 2020 e il 2021 UniCredit ha stanziato nei confronti del settore oil&gas ben 12,5 miliardi di dollari sotto forma di finanziamenti. Tra le società che godono del supporto finanziario del gruppo troviamo anche la oil-major Gazprom, gestita dal governo russo”.
Gli intrecci russi di Intesa Sanpaolo
Nel mondo di Intesa Sanpaolo, invece, gli intrecci con la Russia sono economici e politici. Il personaggio centrale è Antonio Fallico, lo zar italiano di Russia. Manager di Banca Intesa Russia, sussidiaria moscovita di Intesa che ne possiede il 100 per cento del capitale, “è il grande facilitatore dei rapporti con la leadership russa”, spiega Daniela. “Tra il 2016 e il 2020, la banca torinese ha dato all’industria fossile russa 1,6 miliardi di dollari coinvolgendo grandi imprese come Gazprom o Novatek”. È il caso, ad esempio, dell’Artico: nel 2021 Intesa è stata tra le prime tre banche al mondo a finanziare operazioni di sfruttamento dei combustibili fossili in questa regione, insieme a JPMorgan Chase e SMBC Group. Operazioni che rischiano di causare fuoriuscite di petrolio e metano, nonché di accelerare il sempre più rapido scongelamento del permafrost sulla terraferma. “Intesa Sanpaolo – spiega Daniela – dopo il pacchetto di sanzioni, ha deciso di congelare gli investimenti del progetto. Ma bisogna verificare cosa accadrà”.
Altro che criteri etici…
“Dal nostro punto di vista, abbiamo visto come queste banche si stiano liberando di vari progetti e investimenti non per criteri etici, legati alla sostenibilità o alla giustizia sociale ma per puro timore delle ripercussioni economiche. E poi quello che sta succedendo in Russia mette in evidenza che l’industria dei combustibili sia inevitabilmente compromessa da ingiustizie sociali e conflitti”, conclude l’attivista di Recommon.