“Ricordo il fruscio di migliaia e migliaia di bicilette che passavano di piazza Tienanmen. Nel corso di un periodo di tempo molto breve, la Cina ha compiuto uno straordinario salto verso la modernità, che è il grande merito storico del Partito Comunista Cinese: è riuscita a far uscire 800 milioni di persone dalla povertà”.
Massimo D’Alema ha recentemente rilasciato un’intervista all’agenzia di stampa ufficiale, Xinhua, destando stupore e mettendo in imbarazzo anche il premier Mario Draghi. Per i cento anni del Partito comunista cinese ha ricordato con commozione la sua visita come rappresentante dei Giovani Comunisti Italiani nel 1978. L’intervento è stata rilanciato su Twitter dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying (funzionaria nota per aver postato un video manipolato in cui per le strade di Roma risuonavano l’inno cinese e dei “Grazie Cina” per gli aiuti inviati da Pechino in pandemia). Un’apertura da tempo condivisa da Romano Prodi che di recente ospite da Lucia Annunziata ha affermato: “La Cina per l’Europa è un’opportunità”.
La Via della Seta Italia-Cina? Mario Draghi la mette da parte
Gli ex premier non sono gli unici politici italiano che guardano con simpatia a Pechino, un elenco che però negli ultimi mesi è stato ampiamente ridimensionato. La fine della presidenza Trump e l’inizio del governo “all’insegna dell’europeismo e dell’atlantismo” di Mario Draghi, sembrano aver riavvicinato il nostro paese a Washington, facendo cadere nel dimenticatoio gli abboccamenti con il Dragone.
Che fine ha fatto la “Via della Seta”? Durante la conferenza stampa al termine del G7 2021 in Cornovaglia, alle domande sul Memorandum d’intesa firmato nel 2019, il neopremier ha risposto che “non è stato mai menzionato, nessun accenno” durante il summit. Salvo poi aggiungere, “per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione”.
Beppe Grillo e Vito Petrocelli, due grillini che guardano a Pechino
Dopo essere stato il primo Paese dei Sette grandi ad aderire alla Via della Seta, l’Italia sembra rivedere ampiamente al ribasso le aperture alla Cina. Una retromarcia accolta favorevolmente da tutto l’esecutivo. Con una importante eccezione: nei giorni in cui Draghi era al G7, il “padre-padrone” del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo era ospite dell’ambasciatore cinese Li Junhua. Poche ore dopo il garante ha rilanciato sul suo blog un’invettiva di Andrea Zhok contro il G7 e la sua “batteria standard della propaganda atlantista, con servizi a salve sui diritti degli Uiguri. Una parata ideologica come non se ne vedevano dalla caduta del muro di Berlino”.
Posizione condivisa da Vito Petrocelli, esponente del Movimento 5 stelle e presidente della commissione Esteri della Senato, che ha recentemente twittato il suo sostegno a un rapporto dal titolo “Xinjiang. Capire la complessità, costruire la pace”, documento che vuole ribaltare le accuse di diversi Paesi occidentali al governo cinese di persecuzione della minoranza uigura nello Xinjiang.
Task Force Cina, l’arenato progetto gialloverde
Nel governo giallo-verde c’era un viceministro al Mise, Michele Geraci, vicinissimo alla Cina. Di area Movimento 5 Stelle, ma scelto con l’approvazione della Lega, il professor Geraci (che aveva insegnato 12 anni a Shanghai) aveva ideato la Task Force Cina: un meccanismo di lavoro con l’obiettivo primario” di “potenziare i rapporti fra Cina e Italia in materia di commercio, finanza, investimenti e R&D e cooperazione in paesi terzi” .
La task force non si è più riunita e Geraci è tornato a insegnare in Cina, ma il vero tessitore dietro le quinte dei rapporti con la Cina, secondo Fausto Biloslavo di InsideOver, sarebbe l’ambasciatore Ettore Sequi. Diplomatico di lungo corso con esperienza da prima linea in Afghanistan è stato per quattro anni a Pechino, da maggio è Segretario generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Sarebbe stato il trait d’union fra il colosso cinese CCCC e il porto di Trieste, con tanto di visita dell’ex presidente del Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, figura di spicco del Pd.
Italia-Cina, 45 miliardi di scambi commerciali
Al netto di un raffreddamento degli entusiasmi degli ultimi due anni, rimangono buone ragioni economiche per un progressivo avvicinamento tra Italia e Cina, la nona destinazione del nostro export, con cui abbiamo un interscambio commerciale di 45 miliardi con una netta sproporzione della bilancia verso Pechino (esportiamo 12,5 e importiamo 32,5 miliardi).
Dipendiamo dalla Cina per importare computer, prodotti di elettronica, orologi e apparecchi elettromedicali anche se l’obiettivo della Cina nella produzione industriale è non essere più la fabbrica del mondo. In Cina ci sono poi circa 1.700 aziende italiane, con oltre 170 mila addetti e un giro d’affari vicino ai 30 miliardi. Nel 2019 il Copasir stimava presenti in Italia 405 gruppi cinesi che hanno partecipate in quasi 800 imprese italiane con 44mila occupati e un giro d’affari di oltre 25 miliardi.
Per il momento la Cina sembra allontanarsi, ma rimane comunque molto vicina.