Deindustrializzazione, subordinazione alla Cina, rottamazione di interi comparti: Andrea Taschini, manager e analista del settore auto, è profondamente pessimista sulle conseguenze del voto dell’Europarlamento che ha imposto il passaggio al 100% elettrico nel mercato comunitario a partire dal 2035. Taschini ha lavorato per primarie aziende del settore automotive per più di 25 anni: nella sua carriera è stato in Brembo, Bosch e Sogefi dove ha ricoperto posizioni apicali. Attualmente si occupa sia come External advisor di Bain sia come indipendente, di consulenza strategica Scrive su temi energetici e auto su varie riviste e giornali e nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro “Attraversare il cambiamento”. Con lui parliamo di una mossa che si inserisce in un quadro complesso di strategie per la transizione energetica.
Dottor Taschini, il voto di Strasrburgo è apparso come una vittoria dell’ambientalismo ideologico sul pragmatismo. Che conseguenze si aspetta?
“Più che una vittoria dell’ambientalismo mi è sembrato uno scontro politico. Dove due visioni dell’Europa sono giunte brutalmente alla resa dei conti sulle spalle dei cittadini. Le conseguenze saranno pressoché immediate: le case auto abbandoneranno ogni investimento sui motori endotermici perché senza un più una prospettiva di ritorno economico, cominciando così ad espellere migliaia di lavoratori”.
Quali Paesi saranno più colpiti da questo provvedimento?
“Sicuramente i quattro grandi produttori di auto e di componentistica: Italia, Germania, Francia e Spagna. Ma non tralascerei alcuni paesi dell’est Europa dove parte della componentistica si è delocalizzata negli ultimi 20 anni. Sarà un processo molto doloroso e contrariamente a ciò che si racconta, anche rapido”.
Da molti punti si è sottolineato il problema della filiera dell’auto elettrica, molto diversa da quella tradizionale. Che ne sarà dell’indotto italiano e delle nostre imprese di trasformazione del comparto?
“L’Italia ha da tempo perso la leadership nella fabbricazione di vetture. Ma ne conserva una preziosa che è la componentistica dove abbiamo delle vere eccellenze a livello mondiale. Un’auto elettrica è un prodotto banale e molto semplificato una sorta di surrogato tecnologico tant’è gli sponsor maggiori sono cinesi che non hanno mai saputo sviluppare sui motori tecnologie comparabili a quelle europee. Ne consegue che gran parte della filiera verrà cancellata per due motivi: il primo perché i componenti dell’auto elettrica li producono in Cina dove detengono anche il monopolio delle materie prime. Il secondo, perché la componentistica in un auto a batteria è così ridotta che è impossibile riconvertirsi sul nulla. E quindi scompariranno intere aziende del settore”.
Da chi ci approvvigioneremo per le materie prime necessarie? Andiamo verso una dipendenza dalla Cina?
“La Cina non solo oggi ha una leadership inattaccabile sulle batterie ma detiene l’85% delle terre rare, del cobalto della raffinazione del litio. Chi vuole costruire auto elettriche non ha scelta se non rivolgersi a Pechino. La faccenda dalla dipendenza dal gas russo e del nickel in confronto è una passeggiata”.
In generale, come giudica il piano Fit for 55 di transizione energetica in via graduale di approvazione?
“Il Fit for 55 è la madre di tutti i mali. È un editto autoritario e dannoso per un continente che non ha nessuna necessita di decarbonizzarsi. Visto che, al netto della Germania, emette solo il 4,9% lordo dell’anidride carbonica mondiale e cioè quasi zero. Contro il 50% di Cina e India che stanno invece accrescendo esponenzialmente le proprie emissioni. I costi del Fit for 55 sono enormi le cui conseguenze ricadranno sui cittadini sia sotto forma di aumento dei prezzi, sia di un aumento della disoccupazione senza avere alcuna contropartita in cambio”.
Cosa sarebbe cambiato il contesto se a essere approvato fosse stato l’emendamento del Partito Popolare Europeo che consentiva un 10% di spazio residuale all’auto tradizionale nel 2035?
“Sarebbe stato possibile attraverso investimenti su motori endotermici e carburanti sintetici, raggiungere risultato migliori del tutto elettrico. La cui energia sarà prodotta da idrocarburi e carbone ancora per decenni. Il tutto senza distruggere un intero comparto portante che occupa più di 4 milioni di lavoratori in Europa e tenendo i competitors cinesi alla larga dal nostro continente”.