Quando negli Anni Trenta il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt volle promuovere un piano di rilancio dell’economia finalizzato a superare la Grande Depressione lo fondò sulla grande spesa infrastrutturale, dando lavoro a milioni di persone con la costruzione di ponti, strade, impianti energetici come la colossale Diga Hoover. Negli Anni Cinquanta, il repubblicano ed ex generale Dwight D. Eisenhower replicò la strategia investendo in autostrade, ferrovie, aeroporti per assorbire la manodopera tornata in patria dopo la Grande Depressione e, velatamente, per riorientare una spesa interna che riteneva troppo diretta al “complesso militare-industriale”.
Il declino delle infrastrutture statunitensi
Da allora in avanti, il declino delle infrastrutture americane è stato palese. Il quadro è tanto chiaro quanto emblematico: il sistema infrastrutturale civile degli Stati Uniti, per dirla in termini spicci ma efficaci, sta letteralmente andando in malora dopo anni di mancata manutenzione. L’allarme non è arrivato soltanto dal mondo dei media ma anche dall’American Society of Civil Engineers (Asce), che ha definito critico lo stato in cui si trovano le infrastrutture Usa. Il motivo è semplice. Se un secolo fa il sistema di strade e ponti progettato dagli Stati Uniti era all’avanguardia, oggi quello stesso sistema appare datato e incapace di rispondere all’ingente mole di traffico odierno.
La pressione del confronto a distanza con la Cina
A mettere ulteriore pressione sul collo della Casa Bianca, non bastasse la fondamentale esigenza di offrire ai cittadini statunitensi snodi all’avanguardia, c’è il confronto a distanza con la Cina. Pechino, che fino agli anni ’80 poteva essere considerato un Paese quasi del Terzo Mondo, ha sfruttato al meglio la sua roboante crescita per dotare il Paese di infrastrutture ultramoderne e calibrate sulle sfide del XXI secolo. Grazie a un collegamento capillare, capace di unire la ricchissima costa orientale all’entroterra, storicamente più povero e arretrato, il gigante asiatico è riuscito non solo a trainare l’ascesa economica delle aree periferiche, ma anche di lanciare un progetto globale basato proprio sull’importanza strategica della costruzione di infrastrutture (la Belt and Road Initiative).
Il piano Biden da 1.200 miliardi di dollari
Tentando di arrivare a un analogo progetto di rilancio dell’economia nazionale e di potenziamento dell’industria interna i presidenti Donald Trump e Joe Biden hanno tentato nei loro mandati di promuovere un pacchetto di misure analogo. Negli scorsi mesi, con il sostegno decisivo dei Repubblicani al Congresso, il democratico Biden è arrivato laddove Trump non era giunto, promulgando a novembre ufficialmente un piano che prevede 550 miliardi di dollari di investimenti federali nelle infrastrutture americane per i prossimi cinque anni e di abilitare, in un decennio, investimenti complessivi pubblici e privati per 1.200 miliardi di dollari.
Un’occasione anche per l’italiana WeBuild
In questo contesto c’è un colosso italiano, attivo nella costruzione delle infrastrutture in ogni angolo del pianeta, che potrebbe approfittare del nuovo piano d’investimenti lanciato da Joe Biden per rimodernizzare le arterie vitali degli Stati Uniti. Si tratta di WeBuild, gruppo erede del consorzio Salini-Impregilo, nato come fusione di due pezzi pregiati dell’imprenditoria made in Italy. Abbiamo parlato a fondo dei 1.200 miliardi di dollari messi sul tavolo da Biden al fine di restituire nuova verve a un Paese logorato dallo scorrere del tempo. Vale la pena adesso concentrarsi sulle occasioni specifiche da cogliere al volo, in un testa a testa tra le migliori aziende del pianeta.
Priorità: la rete stradale, poi porti e ferrovie
Nel report del 2021 l’Acse ha parlato di un infrastructure investment gap superiore ai 2,5 miliardi di dollari nel periodo relativo all’ultimo decennio; un gap che potrebbe allagarsi fino a toccare i 10 miliardi da qui al 2030. Quali sono, dunque, le aree strutturali che richiedono urgenti investimenti? In primis, troviamo la rete stradale, con un gap che sfiora il 100% della spesa prevista, seguita dalla rete portuale e ferroviaria. È qui che prende forma l’ombra di WeBuild, già attiva nel palcoscenico Usa con diversi progetti all’attivo, inerenti proprio al comparto stradale e autostradale.
Sull’agenda del gruppo italiano c’è l’ammodernamento di una porzione della I-405 di Washington, per la precisione 26 chilometri, l’allargamento della I-440/US e tanti altri lavori di manutenzione che dovrebbero ridare verve al Paese, per lo meno ai suoi hub più critici.
L’impegno di WeBuild sulla 495 Express Lanes Nothern Extension
A ottobre, inoltre, l’ex Salini-Impregilo si è aggiudicata un contratto da 441 milioni di dollari (380 milioni di euro) per la progettazione e la realizzazione del progetto 495 Express Lanes Nothern Extension in Virginia, che porterà all’ampliamento di una delle arterie autostradali più trafficate degli Stati Uniti. L’avvio della costruzione è previsto per il 2022 con consegna dell’opera nel 2025.
Vale la pena soffermarci sul maxi contratto dal valore di 16 miliardi di dollari firmato da WeBuild e dalla sua controllata a stelle e strisce, Lane Construction, con la società texana Texas Central Lcc. Obiettivo: costruire una ferrovia ad alta velocità tra Dallas e Houston. Come Madrid-Barcellona, Tokyo-Osaka o Parigi-Lione, le due città di Dallas e Houston si trovano a una distanza ottimale affinché la linea ferroviaria ad alta velocità possa garantire tempi di percorrenza ridotti rispetto all’automobile e costi competitivi rispetto all’utilizzo dell’aereo a un bacino di utenza di 13 milioni di persone.
I grandi margini di sviluppo delle ferrovie Usa
In quest’ottica, si tratta di (ri)portare oltre Atlantico una cultura industriale e dei trasporti che i decenni scorsi hanno portato ad abbandonare. Dopo la Guerra Civile, fu il completamento della Ferrovia Transcontinentale nel 1869 a dare nuova unità, simbolicamente e materialmente, agli Usa. Oggi il treno appare l’infrastruttura in grado di avere i massimi margini di sviluppo oltre Atlantico, tanto in un’ottica di sviluppo industriale e tecnologico quanto per obiettivi di sostenibilità cari all’amministrazione Biden. Dal punto di vista ambientale, si prevede che il treno Dallas-Houston ridurrà le emissioni di CO2 di circa 700.000 tonnellate l’anno ed eviterà la presenza di 14.630 veicoli al giorno sulla I-45 tra Houston e Dallas, creando direttamente e indirettamente 20mila posti di lavoro. Tutto grazie alla tecnologia italiana.
Un po’ di made in Italy nel piano Biden
Un business plan rodato, una visione internazionale, esperienza da vendere: insomma, il player italiano avrebbe tutte le carte in regola per aggiungere un bel po’ di made in Italy al piano orchestrato da Biden. Con 12,3 miliardi di ordini già incassati prima ancora di essere “cantierati” oltre ai 16 del maxi-progetto texano WeBuild è una realtà conosciuta negli Usa. E il fatto che ad agosto tramite Lane abbia avviato lo scavo del tunnel di stoccaggio idrico da 4,2 chilometri dello Ship Canal Water Quality Project, progetto di sostenibilità ambientale per prevenire e ridurre le inondazioni di acque inquinate nel Lake Washington Ship Canal di Seattle, nello stato di Washington (Usa del Nord-Ovest) insegna che margini di crescita esistono anche per le infrastrutture idriche e legate alla transizione ecologica. Infrastruttura è, da sempre, sinonimo di destino per gli Usa. E in questo caso il piano Biden può parlare anche italiano.