Perché leggere questo articolo? Scopriamo perché il coworking è in crisi. Talent Garden è in rosso nei bilanci, ma la vera crisi è quella di WeWork: da 60 miliardi a 60 milioni in un amen.
WeWork è nella tempesta e il coworking appare strutturalmente in crisi non solo negli Stati Uniti. L’ex gigante delle postazioni lavorative condivise e degli spazi di lavoro per creativi è a un passo dalla bancarotta. Alla seduta di ieri, valeva in borsa negli Usa solo 60 milioni di dollari. Un’inezia rispetto al picco di 47 miliardi raggiunto cinque anni fa, prima di un crollo che ha polverizzato il 99% del valore delle sue azioni.
WeWork in crisi
I rincari dei valori degli immobili su cui WeWork fondava il suo business ha aumentato gli oneri di gestione, come riporta Il Sole 24 Ore, ivi compresi gli affitti e i canoni d’acquisto delle sedi usate per il coworking: “A giugno, WeWork possedeva 777 sedi in 39 Paesi, tra cui 229 negli Stati Uniti, secondo quanto riportato nei documenti finanziari. Secondo le stime, WeWork ha 10 miliardi di dollari di affitti da pagare entro la fine del 2027 e altri 15 miliardi di dollari a partire dal 2028″.
Una voragine enorme. Ma il settore non appare in salute sul fronte della capacità di produrre ricavi anche fuori dagli Usa. Seppur su scala molto minore e con la totale assenza di ogni prospettiva di rischio strutturale, vista la salute finanziaria, ad esempio anche il business di Talent Garden in Italia appare in difficoltà nel post-Covid.
Talent Garden, nel 2022 salgono i ricavi…ma anche le perdite
Il bilancio 2022 di Talent Garden Italia mostra due dati in controtendenza per la società fondata da Davide Dattoli e Lorenzo Maternini, quest’ultimo da poco nel cda di Cdp Venture Capital. Dal 2021 al 2022, infatti, Talent Garden ha aumentato i ricavi nettamente godendo della prospettiva di un pieno anno di gestione degli uffici.
Dal 2021 al 2022 i ricavi sono aumentati da 8,5 a 11,2 milioni di euro. Un solido +31,7% a cui si è associato un tentativo di risparmio sui costi del personale, scesi da 3,25 a 3,18 milioni di euro. Si sono però moltiplicati i costi per i servizi di consulenti, collaboratori occasionali e mobilitazione dell’asset proprietario di Talent Garden, ovvero i dispositivi per l’allestimento delle meeting room. Essi salgono da 4 a 6,4 milioni di euro, mentre salgono da 1,27 a 1,67 milioni di euro i costi annui per affitti e gestione di beni di terzi di vario tipo, una ripercussione a tutto campo dei problemi dei rincari immobiliari in zone come quella di Milano e Roma, dove la società è attiva.
I costi complessivi salgono da 9,7 a 12,5 milioni di euro, quasi del 29%. Talent Garden si trova dunque con una perdita operativa che cresce da 1,139 a 1,213 milioni di euro, arrivando a pesare per il 10,83% del fatturato (contro il 13,4% dell’anno precedente). E si amplia ulteriormente aggiungendo oneri non operativi e fiscali: essa sale da 1,173 a 1,431 milioni di euro dal 2021 al 2022 (+22% in un anno) nonostante il nuovo boom dei ricavi. La capofila Talent Garden Spa coi vari uffici globali consolida una perdita di 4,2 milioni. Il doppio dell’anno precedente. Spulciando i bilanci, si notano anche perdite del valore finanziario. Nel 2022 Talent Garden ha avuto rettifiche negative dei suoi asset per 1,946 milioni di euro, che assieme alla perdita di Talent Garden Italia fa l’80% del rosso del gruppo.
In crisi il modello coworking?
Il settore del coworking, in generale, appare tempestoso. Tra affitti in aumento e le crisi strutturali, le società del settore sono in una fase convulsa. Il profilo Linkedin di Pietro Martani, fondatore di Stella Workspace, propone come soluzione ridisegnare gli spazi aziendali dopo che la pandemia ha lasciato un’eredità pesante per un settore in passato dinamico: ” Si apre dall’altra parte un mondo di opportunità per chi è in grado di investire a sconto, far transitare situazioni sub-ottimali in uffici 2.0, andando incontro a quanto le aziende vogliono oggi: uffici su misura, flessibili, attraenti, adatti al nuovo modo di lavorare”. Può essere una rotta percorribile? Sicuramente è una strategia. Ciò che serve per ridare fiato a un settore che in tutto il mondo ha un problema di flussi di cassa. E che vede il campione globale WeWork in acque estremamente agitate