Tra i dati meno sottolineati su JD Vance, senatore 40enne dell’Ohio scelto da Donald Trump come suo vice per la corsa alla Casa Bianca, il nodo della fede cattolica dell’ex venture capitalist e cantore della Rust Belt è forse tra i più importanti. Giovane ma già pieno di esperienze, ex Marine, autore di un best seller sulla vita nell’America periferica, Hilliby Elegy, da cui è stato tratto un film di Ron Howard, anti-trumpiano nel 2016 e pasdaran di The Donald nel 2024, amico di Peter Thiel e altri miliardari non liberal della Silicon Valley, Vance è anche approdato alla fede cattolica nel suo percorso.
Vance, papista di Trump contro il cattolico Biden
E la scelta da parte di Trump di una figura così connotata come il senatore dell’Ohio non è casuale. I cattolici americani rappresentano circa un quarto della popolazione degli States e sono dunque un bacino elettorale da tenere fortemente in considerazione in ogni tornata elettorale.
A maggior ragione in vista delle presidenziali 2024 che vedranno salvo rinunce in campo dem il rematch del 2020 tra Joe Biden e Donald Trump. Il secondo presidente cattolico della storia Usa contro il campione dei tradizionalisti conservatori che non sono secondari nel cristianesimo d’oltre Atlantico. E che col mondo cattolico hanno avuto, in passato, screzi.
Il cattolicesimo secondo JD Vance
Il 40enne Vance si è avvicinato al cattolicesimo da adulto, aderendovi ufficialmente nel 2019. Ha citato come suo principale ispiratore ideologico Rod Dreher, teorico della cosiddetta “opzione Benedetto” che invita i conservatori Usa di stampo cristiano a non commisurarsi con la società modificata dai valori progressisti. Ma ha fatto, da uomo di cultura, tutto suo un approccio personale alla Chiesa, non portando le posizioni della destra religiosa evangelica sulla pillola abortiva ad esempio.
Vance, pur essendo uomo vicino alla finanza ed egli stesso ex venture capitalist, non si è mai detto ostinato rivale dello Stato sociale e del diritto del lavoro, rappresentando un repubblicano atipico che, nota il National Catholic Register, ricorda come “le mie visioni sullo stato ottimale sono piuttosto in linea con la dottrina sociale cattolica”. La sua critica al volto oligarchico di Big Tech e alle condizioni dei lavoratori del settore automotive della sua area d’origine, l’Ohio, l’hanno portato a posizioni eterodosse ispirate anche alla visione da lui perpetrata di un’economia centrata sul lavoro. Per l’Ncr questo substrato del Vance-pensiero radicato nella sua fede cattolica può aiutare Trump a avere al suo fianco un uomo che “parli alla base di elettori bianchi della classe operaia di Trump in stati indecisi come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin”. E, ricordiamocelo, a Washington la fede è politica.
L’America, la “Democrazia di Dio”
In un’America che cambia cambiano anche le prospettive politiche delle fedi, da sempre centrali negli States. Del resto, in un omonimo saggio lo storico Manlio Graziano ha definito gli Stati Uniti la “democrazia di Dio”.
In nessuna grande potenza occidentale il senso della religione è tanto vissuto come ritualità collettiva come negli States, figli dell’incontro tra l’ideologia illuminista e lo zelo degli immigrati calvinisti esuli della madrepatria britannica. Il ceppo che ha amato, a lungo, narrarsi come custode dei destini della nazione, quello Wasp (White, Anglo-Saxon, Protestant) ha a lungo escluso o marginalizzato gli immigrati cattolici provenienti dall’Europa, irlandesi e italiani in primis.
Il peso dei cattolici americani
Nel corso del XX secolo, tuttavia, il mondo cattolico statunitense ha conosciuto una graduale ascesa, che ha avuto il suo momento più celebre nell’elezione di John Fitzgerald Kennedy alla carica di Presidente nel 1960 ma si è poi strutturato su diverse direttrici connesse, in primo luogo, all’ascesa dell’immigrazione di stampo latino.
La presenza cattolica ai vertici della società statunitense, parimenti, si è andata gradualmente consolidando, tanto che dal 2020 con la nomina di Amy Barrett sei dei nove membri della Corte Suprema di Washington sono affiliati alla Chiesa di Roma. Il ruolo dei cattolici va valutato profondamente anche in chiave elettorale, per capire come le dinamiche che legano affiliazione religiosa e affluenza alle urne li coinvolga nel contesto statunitense
Demografia dei cattolici a stelle e strisce
Oggigiorno il cattolicesimo rappresenta la seconda istituzione religiosa americana dopo il protestantesimo e la Chiesa Cattolica è la più grande singola istituzione ecclesiastica nel territorio della superpotenza.
Da circa un settantennio i cattolici Usa hanno superato la soglia del 20% della popolazione. Oggigiorno le stime li vedono tra il 20,4 e il 23,1% della popolazione, ovvero tra 67 e 76 milioni di americani. La percentuale è rimasta pressoché invariata dai tempi dell’elezione di Kennedy, ma a variare è stato il background demografico dei cattolici Usa, cresciuti in mezzo secolo in termini di numeri assoluti di circa il 50%.
I cattolici americani sono sempre più al Sud
Da diversi decenni il cuore dell’America cattolica si va gradualmente spostando dal Midwest e dal Nord-Est abitato dagli immigrati europei al Sud in cui prevalgono gradualmente i cattolici di etnia ispanica.
Questi ultimi risultano essere circa il 37% dei praticanti, mentre allo stato attuale delle cose va comunque sottolineato, come fatto notare dal Pew Research Center, che i flussi in entrata e in uscita rimangono ben alimentati in entrambi i versi. Ben il 13% degli statunitensi adulti sono ex affiliati alla Chiesa cattolica, passati poi alle varie confessioni protestanti o all’uscita dal sentiero religioso, mentre solo il 2% della popolazione è costituita da individui passati da altre religioni al cattolicesimo.
Un elettorato diviso
La diversità etnica, la ripartizione grossomodo proporzionata tra le varie aree del Paese e la trasversalità sociale della Chiesa cattolica statunitense fa sì che le dinamiche elettorali dei suoi aderenti siano estremamente fluide e dinamiche. Nel 1960 e nel 1964 i cattolici votarono, comprensibilmente, in massa per portare alla Casa Bianca prima JFK e poi il presidente asceso alla Casa Bianca dopo il suo omicidio, Lyndon Johnson, garantendo loro secondo le stime tra il 76 e l’82% dei consensi in media.
Dopo Kennedy, due soli politici statunitensi di fede cattolica hanno partecipato da candidati presidenti alla corsa alla Casa Bianca nei maggiori partiti, entrambi democratici: John Kerry nel 2004 e Joe Biden nel 2020. Divenuto il secondo presidente fedele al Vescovo di Roma della storia Usa. Proveniendo, come Kennedy, dalla ricca e multiforme comunità del cattolicesimo irlandese sbarcato in America.
Cattolici e presidenziali, Vance vuole emulare…Biden
Per ben sei volte un candidato vicepresidente cattolico è stato associato a un presidente sconfitto alle urne: è successo due volte ai Repubblicani (William Miller nel 1964 e Paul Ryan nel 2012) e quattro ai Democratici (Edmund Muskie nel 1968, Sargent Shriver nel 1972, Geraldine Ferraro nel 1984, Tim Kaine nel 2016), mentre Biden, due volte veep al fianco di Barack Obama dopo le elezioni del 2008 e del 2012, è l’unico ad aver ricoperto la carica fino ad ora. Vance sarà dunque il settimo cattolico a esser candidato e mira a esser il secondo eletto per la seconda carica della nazione.
Da cattolico moderato spera di far pendere per Trump l’ago della bilancia. Venendo agli ultimi voti presidenziali, notiamo come dal 2000 ad oggi i cattolici abbiano sempre diviso le loro preferenze in maniera grossomodo equivalente: nel 2004, addirittura, l’elettorato preso in considerazione spartì le sue preferenze tra il cattolico Kerry e il presbiteriano George W. Bush, uscito vincitore dalla contesa. Obama e Biden hanno beneficiato di un leggero vantaggio nel voto cattolico nelle elezioni vinte contro John McCain e Mitt Romney, ma questi ultimi sono stati comunque in grado di conquistare il 43% e il 48% del voto cattolico, mentre nel 2016 è stato Donald Trump a sopravanzare nelle preferenze Hillary Clinton, 52% contro 45%.
Trump contro Biden, prima e dopo
E nel 2020? Le stime sono divise nel definire chi tra Joe Biden e Donald Trump abbia prevalso nell’elettorato cattolico. Ma concordano nel parlare di una corsa all’ultimo consenso: secondo Edison, il 52% di tutti gli elettori cattolici hanno votato per Biden e il 47% per Trump. Per l’Associated Press Trump avrebbe vinto di misura, 50-49.
Dentro la Chiesa cattolica convivono tradizionalisti del ramo dei “catto-evangelici” che hanno fatto appello a Trump come campione dell’Occidente e che nel clero americano hanno il simbolo nel cardinale Raymond Burke. Ma anche cattolici latini progressisti come il noto arcivescovo Gustavo Garcia-Siller, titolare della diocesi di San Antonio, in Texas, che su America Magazine ha scritto un articolo che sembra mostrare un distacco da Trump.
La corsa di Biden e Trump all’elettorato cattolico
“Osiamo chiedere: “Chi è il mio prossimo?” O siamo ancora più audaci, per accettare la sfida di farci prossimi di Dio che si avvicina a noi sotto le sembianze del malato, dello straniero, del carcerato, del non credente, di chi non pensa e non adora come noi? Per chi posso diventare un testimone migliore dell’amore di Dio con l’aiuto della grazia di Dio?”, scrive Garcia-Siller parlando della scelta dei cattolici per il voto.
Ma ci sono anche cattolici latini conservatori, soprattutto nelle comunità cubane e venezuelane forti in aree come la Florida. E cattolici che prima ancora che americani si considerano romani, seguono la visione evangelica e anche politica di Papa Francesco. Nel 2020 questo elettorato si è diviso. Nel 2024 Trump punta a far suoi i voti conservatori, Biden a creare il grande “campo largo” contro il suo predecessore. Ma c’è una novità sostanziale. Ad oggi entrambi i leader sembrano distantissimi dalle istanze tipiche del cattolicesimo. Per motivi differenti.
Dall’aborto all’Ucraina, il solco profondo tra Usa e Vaticano
Il Partito Repubblicano, in particolare, continua con un’agenda politica conservatrice che evidenzia il peso delle battaglie culturali su quelle ispirate alla dottrina sociale della Chiesa care al Santo Padre. I democratici, invece, mirano a usare il cavallo di battaglia del bando all’aborto decretato con la cancellazione della sentenza Roe vs Wade del 2022 dalla Corte Suprema a maggioranza di repubblicani, conservatori e cattolici come arma contro Trump. Creando peraltro imbarazzo a Biden, che non ha mai pronunciato in campagna elettorale la parola “aborto” per non apparire in contraddizione.
Come ricorda The Hill, “la retorica dell’ex presidente Trump sugli immigrati e i piani per frenare l’afflusso di migranti al confine meridionale sono un anatema per le convinzioni cattoliche sulla dignità umana, mentre la posizione progressista democratica sull’accesso all’aborto contraddice direttamente la posizione della Chiesa sulla vita che inizia al momento del concepimento”.
C’è poi il grande tema dell’Ucraina, per la quale Papa Francesco ha chiesto la pace. Venendo indirettamente smentito da Joe Biden che ha cortesemente rispedito al mittente l’offerta di Bergoglio di essere mediatore nel sanguinoso conflitto in Est Europa.
I cattolici tra Dio e Cesare
Qual è la conseguenza? Il fatto che, come ricorda America Magazine, spesso ” i predicatori cattolici evitano la politica nei loro sermoni. Secondo Pew , solo il 41% dei cattolici ha ascoltato almeno un sermone che menzionasse le elezioni del 2020 , rispetto al 71% dei protestanti evangelici e al 63% della chiesa nera e dei protestanti principali”. I cattolici si troveranno così a essere decisivi politicamente senza aver alle spalle una Chiesa politicizzata in senso totale. A novembre voteranno secondo coscienza. Cercando di muoversi tra Dio e Cesare. O più prosaicamente, tra il loro riferimento romano e la necessità di scegliere il Comandante in Capo più confacente ai loro valori. O forse, semplicemente il meno distante.