Continua a sollevarsi il polverone mediatico per l’arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram che attualmente si trova in stato di fermo nella capitale francese.
Braccato dalle autorità parigine una volta atterrato con il suo jet privato all’aeroporto di Le Bourget, il 39enne russo con cittadinanza francese ed emiratina potrà ora essere detenuto per un massimo di 96 ore. Dopodiché, il giudice potrà decidere di liberarlo oppure di sporgere denuncia per rinviarlo in custodia cautelare.
Telegram replica con un post su X: «Telegram rispetta le leggi dell’Ue, incluso il Digital Services Act: la sua attività di moderazione è conforme agli standard del settore. Pavel Durov non ha nulla da nascondere e viaggia spesso in Europa».
Tuttavia, ciò che suona strano è la decisione di Durov di recarsi in Francia sapendo di avere un mandato di cattura sulla sua testa. Ne abbiamo parlato con lo storico Aldo Giannuli: «Probabile rischio di minacce dalla Russia o accordi di vendita con l’occidente». L’intervista.
Giannuli, un commento sull’arresto di Pavel Durov?
Direi che si è costituito. Una persona che ha un mandato di cattura, di cui è cosciente perché notificatogli in Francia, atterra in Francia? Si sta facendo arrestare.
Poi, bisognerebbe ovviamente capire il contorno. Magari potrebbe esserci stato un sabotaggio dell’aereo, come magari un discorso di corruzione del pilota che lo ha portato lì a sua insaputa.
Oppure, Durov ha avuto un motivo per andare in Francia e farsi arrestare.
Che cosa intende?
Le ipotesi possono essere le più diverse. Per esempio, il rischio di minacce sul fronte russo, per cui alla fine le prigioni francesi saranno scomode, ma sicuramente più sicure.
O magari qualcuno gli ha chiesto di recarsi in Francia proprio per trattare, con l’interesse da parte dell’occidente di comprare la sua società. Insomma, ci possono essere molte motivazioni, ma non può essere tutto casuale; non può essere frutto di una distrazione il fatto che atterri proprio dove le autorità evidentemente lo stavano aspettando.
Dall’Ucraina arrivano le provocazioni alla Russia: «La Russia è isterica perché l’unico messenger russo affidabile, Telegram, potrebbe essere sotto il controllo dell’Occidente». Si tratta quindi di un gioco politico?
Potrebbe esserci anche l’idea di attirarlo in una trappola, magari con la scusa di una trattativa importante è stato appunto incastrato e ammanettato al suo arrivo.
Bisogna tenere presente che Telegram è un veicolo comunicativo molto importante, molto utilizzato dall’alta ufficialità russa per le comunicazioni interne. Mettere le mani su quella piattaforma è paragonabile ad accedere al codice Enigma durante la Seconda guerra mondiale.
Si tratta ovviamente di ipotesi, purtroppo non so se riusciremo mai a sapere la verità. Certo è che se Durov si è recato a Parigi spontaneamente sa quello che deve fare. Soprattutto in una situazione in cui le accuse toccano la gravità della pedopornografia, terrorismo e traffico di droga.
È ovvio che i russi reagiscono molto allarmati, lo sarei anche io al posto loro.
Sono poi arrivati i messaggi di supporto a Durev, tra cui quelli scritti da Musk, Kennedy Jr. e persino Snowden. Quanto contano i diritti quando si toccano tasti così importanti?
L’esperienza mi insegna una cosa: quando la grande politica entra dalla porta, il diritto e l’etica escono dalla finestra. È l’ultima cosa che conta in queste cose.
Da sempre c’è il tentativo dei servizi segreti occidentali di mettere le mani, in generale, su queste piattaforme. Lo farebbero volentieri anche i russi, per carità, solo che hanno meno probabilità e meno possibilità di farlo.
Questo è un aspetto della guerra informativa che viene svolta. Secondo lei, se la magistratura russa chiedesse a una qualsiasi piattaforma occidentale chi sia il proprietario di un canale che tratta di pedopornografia o di traffico di droga, glielo darebbero? Non esiste questa ipotesi.
È evidente che queste sono operazioni totalmente trattate. Tutte quante.
Un rapporto fra Telegram doveva esserci, perché se appunto l’alta ufficialità usa quella piattaforma per le sue comunicazioni interne, vuol dire che si fidano.