Perchè leggere questo articolo? Julian Assange, in precarie condizioni di salute e sfinito da 14 anni di battaglie giudiziarie, accetta di patteggiare. Quella di Joe Biden non è clemenza ma, a pochi giorni dal confronto con Trump, un preciso calcolo politico. Vivaldelli: “Ma l’accusa resta infondata. Assange ha fatto il suo dovere, che è quello di cane da guardia della democrazia. Ma come abbiamo potuto vedere, quando tocchi certi poteri la reazione può essere molto, molto violenta”.
Julian Assange è libero. L’australiano fondatore di Wikileaks ha lasciato il carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra, dov’era rinchiuso da oltre cinque anni. Ora è in viaggio per tornare a casa, in Australia, ma prima farà tappa a Bangkok, dove poi si dirigerà a Saipan, nelle isole Marianne, per formalizzare l’accordo raggiunto con le autorità americane. Assange ha quindi scelto di patteggiare per una condanna di 62 mesi, già scontata in Inghilterra, per un solo capo di imputazione su diciotto. Finisce così. Dopo quasi 14 anni di battaglie legali nate per aver pubblicato centinaia di migliaia di documenti secretati dal Pentagono su crimini di guerra commessi dai soldati americani in Iraq e Afghanistan. Questa improvvisa liberazione del giornalista tradisce fini prettamente strategici da parte del governo statunitense. Ne abbiamo parlato con Roberto Vivaldelli, giornalista esperto di relazioni internazionali. “Dopo 14 anni di persecuzione giudiziaria Assange, sfinito nell’animo, ha ceduto. Ma l’accusa resta infondata. E quello di Biden non è un atto di clemenza ma un calcolo politico: gli Usa così salvano la faccia”. L’intervista.
Vivaldelli, Assange è libero. Atto di clemenza o calcolo politico di Biden?
Sicuramente, a due giorni dal dibattito con Trump, c’è anche molta politica. Di certo Biden non voleva trascinarsi la questione Assange durante la campagna elettorale. Quindi per me più che clemenza è sicuramente una questione politica, assolutamente. Sappiamo anche quello che hanno detto i medici che l’hanno visitato: Assange era in condizioni di salute precarie, addirittura faceva fatica a respirare. Se la situazione fosse peggiorata, chiaramente Biden sarebbe stato additato come responsabile, e non credo che in un periodo elettorale faccia troppo bene. Dopodiché, siamo arrivati a questo patteggiamento. Credo che Assange, dopo 14 anni di quella che io definisco persecuzione giudiziaria, fosse sfinito nell’animo, anche fisicamente. Non ha potuto fare altro che accettare. Di contor, gli Stati Uniti si salvano la faccia, senza trascinare la questione per i prossimi mesi.
Nonostante la libertà, che è l’obiettivo primario, si sollevano già le proteste di chi afferma che Assange non sarebbe colpevole del reato per cui ha patteggiato. È d’accordo?
Assolutamente sì. Io ritengo che Assange non fosse assolutamente responsabile. Peraltro, dovremmo aprire il capitolo dell’Espionage Act, legge di oltre cento anni fa che non è mai stata applicata contro nessuno. Obtorto collo, Assange ha dovuto patteggiare sul capo d’imputazione per trovare un accordo che evidentemente è politico. Ribadisco che l’accusa rimane assolutamente infondata. Lui non ha trafugato informazioni riservate, ma ha creato una rete di garanzia per tutti i whistleblowers che si sono rivolti a lui. Ricordiamo Chelsea Manning, che tra l’altro ha pagato per la sua condotta.
Un possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe mettere di nuovo a rischio la posizione di Assange?
È vero che recentemente Trump si è lasciato andare su alcune dichiarazioni, ma non credo abbia grande interesse a prendere di mira Assange ulteriormente. È anche vero che nella sua amministrazione ci sono stati elementi che addirittura avevano architettato il suo assassinio, come Mike Pompeo, che aveva ipotizzato la morte di Assange. Però credo comunque che non sia negli interessi di Trump calcare la mano, anche perché Assange non dispiace al suo elettorato. Quindi sarebbe controproducente per lui.
Il clamore attorno alla sua vicenda basterà a garantirgli una sicurezza adeguata?
Io spero che possa vivere la sua vita tranquillamente. Adesso vediamo cosa farà. È chiaro che quando ti metti a denunciare crimini di persone molto potenti le precauzioni non sono mai abbastanza. Spero che tutta la grande campagna che si è fatto per arrivare a questa giornata storica, faccia sì che venga protetto e tutelato. Però è chiaro che ha fatto arrabbiare e indispettire persone potenti, ed è sempre motivo di pericolo.
Che cosa ci insegna la vicenda di Assange su libertà di informazione, potere dei media, sicurezza pubblica e il sottile confine tra questi fattori?
Ci insegna che un giornalista e un editore che ha fatto il suo dovere, cioè quello di rendere pubbliche informazioni che gli sono state fornite da whistleblowers, ha pagato per aver fatto il suo lavoro con una persecuzione giudiziaria che dura da 14 anni, un pezzo della sua vita. Questo dovrebbe farci riflettere sullo stato della libertà di informazione che anche in Occidente, e non solo nei regimi autoritari, viene vista come una minaccia. Il caso Assange ci insegna questo, che dobbiamo essere sempre il più possibile liberi nel tutelare la libertà di espressione e di informazione. Assange ha fatto il suo dovere, che è quello di cane da guardia della democrazia. Ma come abbiamo potuto vedere, quando tocchi certi poteri la reazione può essere molto, molto violenta.