Perché leggere questo articolo? L’autonomia differenziata è legge. Tante le polemiche. Marilisa D’Amico, avvocato e prorettrice della Statale di Milano: “Regioni del nord più ricche a discapito di quelle del sud? Ecco perchè non c’è questo rischio”. L’esempio della Germania post-riunificazione
Ufficialmente approvata l’autonomia differenziata. Dopo mesi di polemiche, la legge sulla riforma costituzionale è stata accolta da entrambi i rami del parlamento. Ma quali sono i vantaggi e le criticità di questa riforma? True-News.it ha intervistato Marilisa D’Amico, avvocata e professoressa di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano. “Il timore che le Regioni del nord si arricchiscano a discapito di quelle del sud? Fugato dall’articolo 8. E sulle professioni potrebbero esserci risultati significativi”. L’intervista.
Autonomia differenziata, cos’è e cosa comporta
“Questa legge attua l’articolo 116 terzo comma della Costituzione e prevede che su una serie di materie (23 in totale), le regioni possano chiedere speciali condizioni di autonomia. Su alcune di esse si possono anche richiedere condizioni più velocemente”, ha spiegato D’Amico. L’idea di fondo è quella di un costituzionalismo alla spagnola. “A differenza invece del titolo quinto che è calato dall’alto come una camicia nei confronti delle regioni trattate tutte nello stesso modo dove ci sono alcune regioni che hanno sfruttato queste condizioni di autonomia in modo migliore e sono più virtuose di altre”.
La prorettrice della Statale spiega come fosse previsto dal disegno costituzionale “l’idea di un’Italia in cui l’autonomia regionale fosse molto più forte rispetto a prima del 2001 con la possibilità ulteriore per determinate regioni di chiedere condizioni speciali di autonomia e quindi con un modello simile a quello spagnolo”. L’idea del 2001 infatti era quella per cui regioni più autonome potessero essere più ricche da un punto di vista generale “non a discapito delle regioni un po’ più lente e con meno risorse”, ha ribadito la professoressa. Il concetto quindi si avvicinava a quello del federalismo cosiddetto “solidaristico e cooperativo”, famoso in Germania durante la riunificazione. Queste, secondo la professoressa, sono le premesse. Premesse che lei vede “positivamente”.
D’Amico: “Una regione più ricca porta ricchezza a tutte le altre regioni”
Contro questa riforma diversi studiosi hanno subito messo in evidenza “possibili effetti sociali estremamente negativi”. Criticità che D’Amico evidenzia fin da subito. “La criticità di cui si parla è che le regioni del sud avranno meno soldi e saranno costrette a spendere o aumentare le imposte o a tagliare i servizi”. E questo è in parte vero perché ci potrebbe essere un rischio di impoverimento generale. Ma la professoressa cerca di mettere chiarezza fin da subito. “Questo in realtà è fugato dall’articolo 8 delle clausole finanziarie che esclude che le regioni che accedano all’autonomia possano trattenere il residuo fiscale”.
Se una regione quindi dovesse avere funzioni superiori e in base a queste funzioni dovesse avere un guadagno fiscale maggiore, “il residuo fra quello che le serve e quello che è eccedente andrà poi restituito allo Stato con meccanismo di perequazione”, ha spiegato. In parole più semplici, se una regione diventa più ricca grazie all’autonomia, “questa maggiore ricchezza servirà a contribuire alle risorse che tutte le regioni hanno a disposizione”. La professoressa inoltre ammettere che ci sono diversi aspetti ancora da chiarire ma non vede plausibile la possibilità per la quale “una regione più ricca diventa ancora più ricca e possa fare la secessione”.
Gli aspetti sui quali l’autonomia differenziata potrebbe fare la differenza
Ci sono però alcuni aspetti sui quali l’autonomia differenziata potrebbe fare la differenza. “L’autonomia differenziata sulle professioni è molto importante. Ogni regione può avere a livello professionale delle realtà molto diverse”. Realtà che, se sfruttate, potrebbero solo portare effetti positivi. “Se si dovessero fare determinate politiche ad esempio per le donne professioniste e si riescono a fare meglio con l’autonomia differenziata in Lombardia, questo non vedo proprio che possa danneggiare altre regioni”. Anzi, da questo potrebbe partire un circolo virtuoso per tutti. “Poi se attraverso queste politiche si riescono a garantire maggiori risorse alle regioni, ecco che c’è un meccanismo per cui l’eccedenza aiuterà anche le regioni che fanno peggio”, ha aggiunto D’Amico.
Il meccanismo potrebbe a tratti ricordare quello tedesco post riunificazione, con regioni ricchissime e altre poverissime. “Si pensava che la Germania sarebbe scoppiata e invece no. Con un meccanismo di perequazione e di federalismo solidaristico, le regioni più ricche hanno trainato e hanno aiutato le regioni più povere”. Il lavoro quindi passa nelle mani delle regioni. “Se ogni regione si concentrasse sui propri patrimoni culturali e turistici anche in maniera autonoma e valorizzando la propria diversità, questo porterebbe maggiore beneficio all’interno della stessa regione”, ha dichiarato. Queste preoccupazioni sono quindi “più ideologiche che concrete”.
D’Amico: “Il gap scolastico tra nord e sud già c’è ed è drammatico”
Un grosso problema italiano è e rimane l’istruzione. Alcuni studiosi allarmati hanno evidenziato come questa riforma potrebbe portare ad un processo separatista con programmi diversi e funzionamenti diversi, esacerbando il gap tra nord e sud. “Questo gap c’è già. Sulla scuola sono ormai decenni che si investe troppo poco. Non si investe nel Paese e sulla scuola pubblica”, ha dichiarato allarmata D’Amico. Questa differenza si vede anche e soprattutto nelle regioni più ricche dove, tramite scuole private o internazionali, si sono creati percorsi alternativi per gli studenti. Necessario quindi un investimento sulla scuola pubblica.
“Poi è chiaro che l’autonomia a livello scolastico bisognerà capire come si possa concretizzare”. Un modo potrebbe essere il pagare diversamente gli insegnanti. “Se un’autonomia scolastica potesse significare che per gli insegnanti delle scuola dalla materna al liceo ci fosse la possibilità di una diversa retribuzione sarebbe un passo avanti perché vivere a Milano è sicuramente più caro che vivere in una città del sud”, ha affermato. Secondo la professoressa la situazione, considerando il numero di professori e dottorandi che decidono di non vivere a Milano a causa del costo della vita, è “drammatica”. “Al di là dell’ideologia”, ha aggiunto, “sulla scuola bisogna fare un investimento serio e forse l’autonomia potrebbe stimolare presidenti di regioni a porsi questo problema e a porselo praticamente in relazione alle condizioni della propria regione. Io la vedo come un’opportunità anche per il sud e per il Paese intero”.
Legge incompleta? “Rischio che a livello parlamentare tutto si annacqui”
Non solo il problema scolastico, un’altra criticità della riforma riguarda il fatto che pare essere una legge incompleta. Le opposizioni infatti si sono anche lamentate del fatto che manchino specifici riferimenti sulle modalità con le quali attivare le richieste di autonomia. Questo, secondo D’Amico, potrebbe essere un problema. “Il problema è che ogni volta che si è tentato, prima con l’autonomia prevista dalla Costituzione del 1948, poi anche con la riforma del titolo quinto del 2001, di creare percorsi di autonomia più forti delle regioni in generale, la risposta centralista dello Stato è stata purtroppo “cambiamo tutto ma poi alla fine cambia poco””.
In questo caso quindi il problema potrebbe proprio essere l’opposto, cioè che a livello governativo e con le mediazioni parlamentari “tutto questo si annacqui e sia una riforma dove nessuno fa le cose concretamente”.
Premierato, D’Amico: “Riforma non convincente”
Un’altra riforma che sta facendo ampiamente discutere è quella del premierato. Feroci le critiche da parte dell’opposizione politica e non solo. Anche moltissimi costituzionalisti sono scesi in campo per denunciare questa riforma, parlando di contraddizioni insanabili con la Costituzione. E D’Amico è d’accordo. “Io sono critica su questa riforma perché irrigidisce questo rapporto dei cittadini direttamente col Presidente del Consiglio saltando completamente quella che è la funzione del Parlamento stabilendo un rapporto diretto premier-elettorato con un’insidia molto forte per la nostra democrazia rappresentativa dove il Parlamento ha un ruolo centrale”.
Questa sarebbe infatti una riforma che ridimensiona i poteri del Presidente della Repubblica perché “uno degli obiettivi credo sia proprio quello di evitare che ci possano essere governi tecnici”. Ci possono essere momenti però, spiega la professoressa, “dove i poteri del Presidente della Repubblica, utilizzati con equilibrio anche nella formazione del governo, sono necessari”. Il parlamentarismo insomma non convince del tutto l’avvocata, che invece crede bisognerebbe occuparsi di altri temi. “Mi sembra quindi una riforma che non va a toccare un vero tema che è quello del bicameralismo paritario e lascia tutto così com’è”, conclude.