Perchè leggere questo articolo? Varata la Direttiva europea “Case green”. Frutto di un negoziato che, secondo l’europarlamentare leghista Isabella Tovaglieri, ha migliorato una misura che nella versione iniziale era “assolutamente irrealizzabile, un prodotto di un’ideologia green ben lontana dalla realtà e dal buonsenso”. L’intervista
La Direttiva europea “Case Green” (EPBD) è stata approvata (370 voti a favore e 199 contrari) dopo 2 anni e mezzo di lavori. Tra cui 9 mesi di negoziati inter-istituzionali tra Parlamento, Commissione e Consiglio (il cosiddetto “trilogo”) per riuscire a raggiungere un compromesso. Con l’obiettivo di comprendere il voto della Direttiva e le possibili ripercussioni della stessa abbiamo dialogato con Isabella Tovaglieri. Europarlamentare in quota Lega, componente della commissione Industria, Ricerca ed Energia. Ed unica relatrice ombra italiana al provvedimento.
Cosa ne pensa del negoziato sulla Direttiva “Case Green”?
Il negoziato ha cambiato profondamente la direttiva: migliorandola in alcuni punti. È bene ricordare che la versione iniziale, proposta dal Parlamento, era assolutamente irrealizzabile. Il prodotto di un’ideologia green ben lontana dalla realtà e dal buonsenso. In esso si obbligava, ad esempio, a compiere un doppio salto di classe in pochi anni per milioni di abitazioni, obbligate a raggiungere la classe E al 2030 e la classe D al 2033. Visti i costi di ristrutturazione medi (circa 40-60mila per appartamento in media), si sarebbe trattato di un vero e proprio attacco al portafoglio di milioni di famiglie italiane, proprio nel bene per loro più prezioso.
Cosa è cambiato tramite l’accordo finale?
L’accordo finale sulla Direttiva “Case Green” ha, per fortuna, rimosso molti punti controversi. È stato tolto l’obbligo di ristrutturazione in capo ai proprietari e ora saranno gli Stati Membri a dover predisporre un piano di efficientamento per arrivare ad emissioni zero nel 2050, con due step intermedi obbligatori da raggiungere. Sono stati rimossi anche gli obblighi di installazione dei pannelli solari sugli edifici residenziali esistenti e rese opzionali le cosiddette “norme di portafoglio ipotecario” che avrebbero creato portato ad un sistema di “mutui green”, ma nel testo finale rimangono alcuni punti critici
Quali sono le criticità dell’EPDB?
L’impianto attuale dell’EPBD contiene obblighi di efficientamento che avranno in ogni caso un impatto sui proprietari degli immobili, visto che vincoleranno milioni di edifici ad opere di ristrutturazione. Il tutto senza minimamente considerare le differenti condizioni e specificità dei patrimoni edilizi nazionali: il parco edilizio italiano è molto antico e spesso vetusto, a differenza di quello di altri Paesi europei. È sbagliato non tenere in debita considerazione situazioni di partenza estremamente differenti.
I fondi del PNRR possono coprire i costi stimati per la misura?
La questione a mio giudizio più problematica, però, riguarda il fatto che l’Unione Europea non prevede alcun fondo apposito per questa “svolta verde” nell’edilizia, che, invece, per la Commissione dovrebbe costare centinaia di miliardi. I fondi a cui si fa riferimento, come il Fondo sociale per il clima, il PNRR e i fondi di coesione, non sono affatto sufficienti a coprire i costi stimati, oltre ad essere già vincolati. Il rischio che a doversi sobbarcare i costi di certe scelte “green” europee siano i cittadini stessi è purtroppo concreto.
L’EPDB potrebbe essere rivisto? Come?
Nonostante l’approvazione dell’aula plenaria, c’è ancora la possibilità di rivedere l’EPBD. Entro fine 2028 la Commissione dovrà riesaminarla alla luce dei risultati ottenuti, e confidiamo che, con un cambiamento nella prossima maggioranza, si possa arrivare ad un testo più equilibrato e realistico.