Si è appena conclusa la convention del Partito Democratico statunitense che ha definitivamente incoronato la candidata Kamala Harris. L’ufficializzazione è arrivata dopo giorni in cui sono intervenuti i notabili del partito (i Clinton, Sanders, Pelosi e gli Obama), 0ltre a star come Stevie Wonder e Oprah Winfrey, fino al neo-nominato vice Tim Walz e, ovviamente, l’uomo del grande passo indietro: Joe Biden. Dalla convention sono arrivati tanti endorsement e uno slogan: “Yes, she can“. Kamala può farcela davvero? Ne abbiamo parlato con Alessandro Nardone, esperto di comunicazione politica.
Nardone, come le è sembrata la convention democratica di Chicago?
Abbiamo assistito al tentativo di celebrare una leader che non esiste. Kamala Harris è stata costruita mediaticamente in quest’ultimo mese. Un tentativo che si è ridotto ad una kermesse in cui sono andati in scena gli stessi stereotipi che qualche settimana fa i democratici contestavano ai repubblicani per la loro Convention.
Cosa intende?
Coloro che accusano i repubblicani di essere radicali ed estremisti sono gli stessi che hanno dato vita a liturgie come quella del camper di Planet Parenthood dove le donne potevano praticare l’aborto. Pratiche, insomma, abbastanza estreme che hanno messo in evidenza il radicalismo di sinistra e il tentativo mal riuscito di far assurgere Kamala Harris al ruolo di leader.
Kamala Harris è la scelta migliore per i democratici?
Sono diversi i motivi per cui non è all’altezza. In primis perché è la vicepresidente del peggior Presidente della storia recente, quantomeno con un indice di gradimento bassissimo, inferiore addirittura a quello di Jimmy Carter. Inoltre, lei è sempre stata messa all’indice proprio dagli analisti di sinistra come persona da non prendere nemmeno in considerazione. E parliamo di alcuni mesi fa, non di un decennio. Insomma, una scelta sbagliata. Soprattutto con il peccato originale di chiamarsi “democratici” pur avendo defenestrato il candidato che oltretutto – anche se ormai non se ne accorge più nessuno – è ancora il Presidente in carica.
Come commenta il passo indietro di Joe Biden?
Biden è stato costretto a fare questo passo indietro. Guarda caso è avvenuto nei giorni successivi all’attentato di Trump per, diciamo così, mettere a tacere quell’avvenimento che risultava troppo scomodo per i democratici. Questa è una tecnica di comunicazione che si chiama wake the dog, agita il cane. Serve a spostare l’attenzione di chi osserva verso qualcos’altro di clamoroso.
L’elettorato americano è tanto diverso dal nostro?
Sì. Non dimentichiamo che il popolo americano, a differenza del nostro, è molto meno ideologizzato. C’è una fetta di elettorato molto più ampia rispetto all’Europa dove certi valori e certi retaggi sono molto più sedimentati. Trump, al netto della sua personalità che può piacere o non piacere, ha ottenuto ottimi risultati. Non a caso, ha ripreso lo slogan con cui Reagan vinse contro proprio contro Carter, con cui molto semplicemente domandava agli americani se stessero meglio quattro anni prima o se stiano meglio adesso, dopo quattro anni di governo dei democratici. Venerdì notte, il candidato indipendente Kennedy jr., annuncerà il suo ritiro e l’endorsement per Trump. Ricordiamo che vanta una fetta di elettorato che oscillava in tutti i sondaggi tra il 2% e il 6%.
L’intervento degli Obama alla convention può aver acceso un fuoco nell’elettorato democratico?
Il fatto è che hanno sparato solo le cartucce che avevano. Nel 2016 ero all’evento della chiusura della campagna elettorale della Clinton. C’erano 40.000 persone che quando parlò Obama lo accolsero come una rockstar. È innegabile il suo carisma, la sua ars oratoria. Eppure vinse Trump. Anche Michelle, per quanto possa essere brava, non è mai stata un’opzione sul tavolo. Purtroppo, i democratici in questi anni non hanno lasciato spazio ad una classe dirigente nuova, e questo è il risultato.
Pensa, quindi, che rivincerà Trump?
Donald Trump molto probabilmente rivincerà. Perché non votano soltanto a Los Angeles e a New York, dove regna l’ideologia wok. Il 5 novembre voterà anche l’America profonda, quell’America che non ne può più di essere di vedersi l’indice puntato, di sentirsi dare dei retrogradi, dei fascisti, dei razzisti, solo perché per loro esiste la famiglia tradizionale. Gli affezionati alla bandiera americana e non a quella del gay pride. Esiste quel sentimento che è molto profondo, che viene snobbato e continuamente, dal mio punto di vista, erroneamente dai democratici.