Dopo aver scritto del futuro degli Stati Uniti, torna a scrivere sulle nostre colonne il professor Umberto Saccone, a lungo nel SISMI e già capo della security di Eni, che in tempi caratterizzati da un aspro dibattito sul tema ci ricorda l’importanza dello strumento militare in tempi incerti. Il mondo che vive guerre e sfide geopolitiche deve, ricorda Saccone, ricordare quanto la pianificazione militare sia stata, solo di recente, fondamentale per affrontare una grande sfida comune: la pandemia di Covid-19. La quale dà lezioni che valgono benissimo anche oggi.
Con iL COVID-19 abbiamo imparato che la gestione della pandemia è una cosa complicata. Se non fosse stato così il 14 febbraio 2024 non sarebbe stata istituita la Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2.
Lezioni strategiche dell’era Covid
L’epidemia da coronavirus ha confermato che, in un’epoca globalizzata, i disastri locali si trasformano rapidamente e inaspettatamente in crisi di portata mondiale.
Quella che era iniziata come un’infezione virale locale a Wuhan si è trasformata in una pandemia globale in meno di due mesi. La crisi di COVID-19 è un evento senza precedenti sotto quasi tutti i punti di vista, anche dal punto di vista della comunicazione strategica.
Di fronte all’incertezza sullo sviluppo del virus e sul suo impatto sulla società, i governi sono stati e sono sottoposti a enormi pressioni per comunicare iniziative politiche e informare il pubblico in circostanze straordinarie.
Anche i livelli di ansia e preoccupazione registrati nella popolazione sono certamente correlati all’intensità delle risposte politiche adottate, indipendentemente dal numero effettivo di casi COVID-19 confermati. Di conseguenza, le risposte politiche tardive hanno probabilmente influenzato i livelli relativamente alti di ansia e preoccupazione della popolazione.
Dalla risoluzione del problema sanitario, al modo per traghettare l’Italia nella cosiddetta “Fase 2”, sono state messe in campo una serie di task force che hanno veicolato nella maggioranza dei cittadini la percezione che non fosse completamente chiara la strada da intraprendere.
La chiamata dei tecnici
Il primo gruppo di esperti a essere stato costituito è stato quello voluto dal Ministro della Salute il 22 gennaio.
Il gruppo è confluito poi nel Comitato tecnico scientifico istituito il 3 febbraio dal Capo della Protezione Civile e Commissario Straordinario all’Emergenza, composta dal Segretario generale e dal Direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, dal Direttore dell’Ufficio di coordinamento tecnico degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera e da un rappresentante delle Regioni.
Inoltre, tra gli esperti del gruppo, figuravano il Direttore Scientifico dello Spallanzani di Roma, il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, l’epidemiologo dello stesso Istituto, il Presidente della Società Italiana di Pediatria, e il Direttore del Consiglio superiore di Sanità oltre a rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Dagli esperti alla chiamata dei militari
Subito dopo è stata annunciata dal governo l’istituzione di un nuovo Comitato, incaricato di traghettare il Paese verso la “Fase 2” con il compito di elaborare, in coordinamento con il Comitato Tecnico Scientifico, le misure necessarie a far ripartire il Paese, con la riapertura graduale delle attività.
A dirigerlo Vittorio Colao, l’ex ad di Vodafone, affiancato da Angelo Borrelli e da Domenico Arcuri, Commissario Straordinario per il potenziamento delle infrastrutture ospedaliere.
Della task force facevano parte altri 16 esperti, tra economisti, contabili, scienziati e medici. Tutti questi esperti hanno dovuto prendere decisioni di vita o di morte rapidamente, sotto un’intensa pressione e con informazioni incomplete. La portata e la complessità della situazione molto probabilmente deve essere subito apparsa maggiore di quanto una persona possa comprendere o gestire, e la posta in gioco era veramente alta.
Bisognava prendere decisioni che, probabilmente, influenzeranno la vita e il sostentamento di molti dei nostri concittadini per gli anni a venire. Ecco, questa cosa, la conoscono molto bene una categoria di persone che, purtroppo, era del tutto assente al tavolo dei decisori: “i militari”.
Il senso della cultura militare in tempi di crisi collettiva
Carl von Clausewitz, ha nel suo trattato “Della Guerra” stigmatizzato: “La guerra non scoppia mai in modo del tutto improvviso, la sua propagazione non è l’opera di un istante”. I Comandanti che operano nella “nebbia della guerra” sanno tutto questo:
La cultura militare è unica, caratterizzata da un senso condiviso della missione, dei valori e degli standard; da un’indiscussa adesione all’autorità quando richiesto; e da un’ampia formazione e pratica procedurale.
Anche tenendo conto di tutto ciò si è preferito affidare la gestione di questa emergenza catastrofica, come ha scritto il quotidiano La Repubblica in un suo editoriale, “ad un civil servant senza alcuna dimestichezza con la comunicazione o propensione naturale alla leadership. Un revisore dei conti voluto da Bertolaso a capo dell’ufficio contabile del dipartimento con una carriera tra le scartoffie della pubblica amministrazione” e ad una serie di professori, alcuni con una discutibile reputazione, in perenne conflitto tra loro, tra diagnosi errate e soluzioni miracolose. Molti, solo portatori degli interessi delle lobby farmaceutiche.
Servire il Paese e pianificare il futuro: il ruolo della cultura militare nella risposta alle crisi
I militari riconoscono che il morale, la coesione dell’unità, la salute mentale e la stabilità della famiglia influiscono sulle prestazioni. Lo stress di una crisi improvvisa aggraverà i problemi preesistenti del personale e ne creerà di nuovi. Di conseguenza, i militari hanno sviluppato meccanismi propri ed unici per affrontare queste sfide.
Sono sempre al servizio della nazione, lo dimostrano quotidianamente e per questo non dovrebbero essere umiliati in queste scelte effimere e senza senso quando la nazione ha bisogno del loro aiuto.
I vertici militari, come riporta McKinsey in un recente studio, sono ossessionati dalla pianificazione: sanno che il campo di battaglia è sempre un ambiente incerto; quindi, mettono continuamente alla prova le loro idee. Per prepararsi alla guerra, gli Ufficiali hanno imparato ad utilizzare uomini e mezzi provenienti da diverse organizzazioni. Il processo di integrazione e di interazione rapida è un esercizio continuo. I piani devono essere spesso ridisegnati al mutare delle circostanze e vengono continuamente perfezionati.
Gli Stati Maggiori dicono molto chiaramente dove devono essere prese le decisioni e chi è responsabile di prenderle. Nel mondo del Covid -19 il governo e le sue task force hanno dovuto prendere più decisioni e più velocemente di quanto non facciano in normali circostanze. L’analogia è nelle operazioni militari in teatro, quando le operazioni sono 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e gli aggiornamenti devono essere chiari e rapidi. Tutte le metriche saltano e ci si deve rapidamente adattare a nuovi scenari.
Crisi da gestire, soluzioni da comunicare
La comunicazione è fondamentale quando gli eventi evolvono rapidamente. La comunicazione di crisi è un processo di medio-lungo periodo che comprende tutte le attività da porre in atto prima, durante e dopo un evento critico, per proteggere l’organizzazione dalle minacce o per ridurne l’impatto negativo.
Bisogna simulare scenari critici in tempo di pace per essere pronti in tempi di crisi finché l’organizzazione non è perfettamente pronta ad affrontare qualunque tipo di emergenza. La gestione di una crisi è fluida per definizione, quindi non imbrigliabile in schemi rigidi.
Le pandemie si verificano ad intervalli di tempo imprevedibili, e, negli ultimi 100 anni, si sono verificate: nel 1918 (Spagnola, virus A, sottotipo H1N1), nel 1957 (Asiatica, virus A, sottotipo H2N2) e nel 1968 (HongKong, virus A, sottotipo H3N2). La più severa, nel 1918, ha provocato da 20 a 50 milioni di morti.
Essa richiede una conoscenza dettagliata dei meccanismi tecnici di gestione, una profonda consapevolezza delle variabili in campo, sia ambientali sia umane, ma anche una buona dose di creatività e capacità d’improvvisazione. Come per la strategia militare, è una tecnica, non una scienza.
L’arte militare della lotta alle emergenze
I comandanti sanno stabilire le priorità e condividere in maniera unitaria le informazioni rilevanti. Si assicurano sempre che tutti i membri dei vari team abbiano la consapevolezza della situazione, favoriscono la pianificazione collaborativa e aiutano le unità a coordinarsi per eseguire i piani.
I leader militari si assumono la responsabilità personale di assicurarsi di avere le informazioni essenziali, che poi assumono un significato predittivo man mano che vengono analizzate. È la fusione dell’intelligence con il quadro operativo che permette ai leader di scegliere una direzione piuttosto che un’altra.
Ma le scelte difficili sono comunque scelte difficili, e anche sotto pressione, la consultazione migliora il processo decisionale. Muoversi troppo velocemente porta spesso disordine, incomprensione e dissapori che possono richiedere tempo per essere risolti. Questi ritmi sono incorporati nei processi militari e fanno parte dell’essenza stessa dell’essere militare.
La sfida dell’incertezza
Come disse esplicitamente Clausewitz, in nessun’altra attività come in guerra bisogna prendere decisioni strategiche e tattiche in condizioni di incertezza. Concetto rafforzato da Sun Tzu quando stigmatizzò, nel suo trattato l’Arte della Guerra, “prendere buone o cattive decisioni è ciò che distingue un grande generale da uno mediocre”.
In guerra, il nemico sfrutterà l’indecisione, quindi i leader cercano di imporre ritmi che possano turbare la capacità del nemico di prendere decisioni. La richiesta più difficile per i gestori delle crisi è quella di andare avanti sapendo che potrebbero avere torto. Proprio per questa incertezza intrinseca della crisi, i comandanti militari mantengono sempre operativi piani di riserva nel caso in cui i presupposti iniziali si rivelino sbagliati o le prestazioni delle unità vacillino. Questo approccio congenito nell’essere un comandante offre la flessibilità necessaria per rispondere rapidamente a eventi imprevisti.
La crisi e i fondamenti delle risposte politiche
Durante la guerra, entrambe le parti sono alla continua ricerca di un vantaggio. Tutti vorrebbero avere un team perfetto, i migliori esperti e tanto tempo a loro disposizione. Forse la lezione più importante che le Forze Armate hanno imparato è che non si hanno quasi mai queste condizioni felici; quindi, sono necessari cambiamenti ed evoluzioni costanti per superare le crisi. La leadership, l’adattabilità a scenari improvvisi e una chiara comprensione della missione fanno la differenza.
Riconosco che non esiste una strategia migliore per tutti i governi. La strategia di risposta alle crisi che un Paese adotta dipende fortemente dal contesto socioculturale, dalla preparazione alle emergenze e dalle prassi del governo. Tuttavia, data la natura senza precedenti di questa crisi sanitaria, le istituzioni nazionali avrebbero dovuto porre l’accento certamente sulla prevenzione e sulla cooperazione in uno sforzo pan-governativo per imparare meglio gli uni dagli altri e identificare le migliori pratiche per il futuro.
In ultima analisi, ciò avrebbe portato a un livello più elevato la risposta ad una crisi epidemiologica non del tutto imprevedibile, vista la ciclicità storica che abbiamo potuto registrare nell’ultimo secolo.
Una risposta “militare” alle crisi sociali e economiche
Con il governo Draghi, in similitudine alla scelta americana che durante la crisi pandemica è corsa ai ripari, con la nomina da parte di Donald Trump del generale Gustave Perna alla guida di Operation Warp Speed, la task force incaricata della regìa delle vaccinazioni negli Stati Uniti, in Italia è stato scelto il Generale Francesco Paolo Figliuolo a guidare la task force italiana con la nomina a nuovo Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19.
Ma l’utilizzazione di risorse militari trova applicazione anche nelle industrie. Secondo Jeff Bezos fondatore, proprietario e presidente del gruppo Amazon, la più grande società di commercio elettronico al mondo, nonché il fondatore e amministratore delegato di Blue Origin, società attiva nei voli spaziali, e proprietario del Washington Post. (Secondo la rivista Forbes, al 7 marzo 2024 Bezos risulta essere la terza persona più ricca al mondo dopo Bernard Arnault ed Elon Musk, con un patrimonio stimato di 196,1 miliardi di dollari). Sul sito della multinazionale scrive:
“Cerchiamo attivamente leader che possano inventare, pensare in grande, avere propensione all’azione e conseguire risultati per i nostri clienti. Questi principi sono ben conosciuti dagli uomini e dalle donne che hanno servito il nostro Paese nelle forze armate e pensiamo che la loro esperienza nel guidare le persone sia preziosa nel nostro frenetico ambiente lavorativo”.
La crisi italiana: un militare per gestire Roma?
Ultimo ma non ultimo Sabino Cassese già Ministro per la funzione pubblica del Governo Ciampi, dal 28 aprile 1993 al 10 maggio 1994. Nominato giudice costituzionale dal Presidente della Repubblica il 4 novembre 2005. Nel 2013 e nel 2022 si fa il suo nome quale possibile candidato alla presidenza della Repubblica.
Cassese in una intervista al Foglio del novembre 2023 parla di Roma e dei militari.
“Roma sta morendo lentamente, è sotto gli occhi di tutti il fatto che la città non ha un’amministrazione, quello che noi chiamiamo comune è una finzione giuridica”. La sconfitta contro Riad (sarà Riad ad ospitare l’Esposizione Universale del 2030) è solo l’ultima macchia che sporca una città che non ce la fa davvero più. Fatta la diagnosi, propone la sua cura. Una cura radicale. “In una situazione così critica ci sono solo alcuni rimedi possibili”, dice. “Innanzitutto, reintrodurre immediatamente il governatorato, come quello che Mussolini affidò a Giuseppe Bottai, per almeno 15 anni, il tempo necessario minimo per risalire la china. Va affidato a tre generali di corpo d’armata, dotati di una congrua cifra, in modo da poter, con mano libera, ricostituire le condizioni del vivere civile elementari”. Addirittura? Qualcuno potrebbe gridare alla deriva autoritaria… “Ci vuole!”, sbotta il prof. “E poi se il comune non esiste come fa a esserci una deriva autoritaria? Un generale ha risolto il problema della pandemia, non le pare che in tre non possano risolverci il problema di Roma?”.
E dell’attuale sindaco Roberto Gualtieri, che ne facciamo? “L’ultimo passaggio necessario della cura – scherza Cassese – è chiedere alla Francia di prestarci per qualche giorno uno strumento che fu adoperato durante la Rivoluzione francese, si chiama ghigliottina, va portato in Italia per ghigliottinarlo, certo richiede per una giornata la reintroduzione della pena di morte, ma è necessario. Come seconda cosa serve reintrodurre anche i lavori forzati per mandarci tutti i capi delle strutture politiche e amministrative del comune. Così Roma si salva, altrimenti è destinata a morire: essendo moribonda esalerà l’ultimo respiro”.