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Julian Assange, eroe o prigioniero del suo stesso personaggio?

Assange

Perché leggere questo articolo? Julian Assange è libero. I media di tutto il mondo festeggiano. Eroe? Forse più “prigioniero del suo stesso personaggio”. Il commento del giornalista e scrittore Roberto Arditti

Finisce col patteggiamento l’odissea di Julian Assange. “Colpevole ma libero”, dopo 14 anni di incubi legali, il fondatore di Wikileaks è tornato in Australia. L’hacker fu accusato nel lontano 2010 di aver divulgato centinaia di migliaia di documenti riservati dell’esercito statunitense. Festeggia la stampa internazionale che inneggia alla libertà di stampa. Ma la figura di Julian Assange è piena di luci ed ombre. Ne abbiamo parlato col giornalista e scrittore Roberto Arditti, direttore editoriale di Formiche e già direttore de Il Tempo, in libreria col suo libro “Rompere l’assedio. L’Occidente si salva solo se capisce le vere sfide del nostro tempo”.

Le parti non convincenti del lavoro di Assange

Il mio giudizio è più articolato e non credo che la parola eroe possa rappresentare una sintesi condivisibile”. Queste le prime parole del direttore Arditti. Assange ha infatti svolto un ruolo importante. “Ha svelato documenti con un’attività che è anche servita all’opinione pubblica dei nostri paesi democratici, gli unici nei quali si può fare qualcosa di simile a quello che ha fatto Assange”. Il trattamento riservato al giornalista sarebbe stato completamente diverso se fosse successo in qualsiasi altro paese. “Da altre parti del mondo Assange non sarebbe vivo a raccontarcelo”, aggiunge Arditti.

Una parte di questo lavoro mi convince, una parte mi convince molto poco”, continua. “La parte che mi convince è quella di svelare alcune attività violente che ci sono state dentro una guerra”. La parte non convincente è quella più politica e personale. “Quella che non mi convince è tutta la corrispondenza del capo dello staff di Hillary Clinton, John Podesta, di cui Assange pubblica migliaia di email hackerate non so come”. I dubbi nascono proprio sotto questo aspetto. “Tra l’altro noi accettiamo per buono questo riferimento via hacker di questo materiale facendo finta di non sapere che queste sottrazioni di documenti sono partite sulle quali sono in azione i servizi di intelligence ufficiali e non di molte nazioni del mondo che non vedono l’ora di compiere atti ostili ai sistemi democratici”, ha affermato allarmato il giornalista.

Assange, il “campione della libertà di informazione” con una rubrica in Russia

Alcuni aspetti della vita del fondatore di Wikileaks non convincono Arditti. “Vorrei ricordare un episodio. E cioè che il signor Assange tiene una rubrica su Russia Today”. Il “campione della libertà di informazione” Assange ha deciso quindi di avere una rubrica televisiva proprio in un paese campione della repressione della libertà dei giornalisti. “Potrebbe dire che nessuno dei media occidentali gli avrebbe proposto una rubrica ma rimane il fatto che ha accettato, da paladino della libertà, di avere un appuntamento fisso sulla televisione più rappresentativa di un paese che nega e reprime ferocemente la libertà di stampa”.

La stessa Russia responsabile di atti gravissimi contro i dissidenti. “Quello stesso paese ha ucciso molti protagonisti, compresa Anna Politkovskaja che rimane invece un esempio coraggioso e virtuoso di una libertà dei giornalisti fatta sul marciapiede della guerra in Cecenia piuttosto che sul materiale informatico”. C’è una bella differenza, secondo il direttore, “tra girare nelle strade di paesi in guerra e muoversi tra file e chiavette digitali”.

Le attività di hackeraggio utili ai nemici dell’Europa e della Nato

“Io non credo al riferimento di questo materiale per frutto del caso o per pura bravura nel cercare. Credo che queste operazioni si possano svolgere solo con contributi rilevanti di soggetti in grado di contribuire a queste operazioni tecniche”, ha dichiarato Arditti. Il giornalista ha ribadito che non ha nessuno strumento per dire che Assange sia stato strumento di guerra ibrida da parte di altri soggetti. “Sono però perfettamente consapevole del fatto che si può essere strumento di atti di guerra ibrida anche senza una complicità voluta. E in qualche modo Assange ha finito per essere complice più o meno volontario di una attività ostile verso le democrazie che proteggono anche col segreto di stato alcune cose, magari non apprezzabili”.

L’attività dell’hacker australiano sono però servite maggiormente ai nemici dell’Europa e della Nato piuttosto che ad una generica libertà di informazione. “Abbiamo avuto contezza di alcuni atti violenti che probabilmente le attività di intelligence militare avrebbero dovuto scoprire e punire per conto loro, ma diciamo che la priorità europea dovrebbe essere quella di difendersi da chi questi sistemi li vuole distruggere”, ha aggiunto.

Il compromesso che ha salvato la vita al fondatore di Wikileaks

Assange icona del giornalismo libero oppure no? “Io sono disposto a riconoscergli un certo coraggio e anche di avere pagato dei prezzi personali alti. Così come credo che la sua attività giovanile in Australia fosse improntata ad un desiderio un po’ anarchico e contro il sistema che magari parte da un atteggiamento di grande spirito di opposizione al potere”. Questo è il punto che Arditti gli riconosce. “Però da un certo punto in poi anche Assange ha avuto tutti gli strumenti per comprendere esattamente anche la portata non tutta apprezzabile di quello che faceva”. Una consapevolezza che si è anche trasformata in un punto debole. “Sono convinto che alla fine lui sia finito per essere prigioniero del suo stesso personaggio più che della cella in cui si trovava”, ha affermato il direttore. 

Da apprezzare anche le regole del funzionamento delle democrazie a seguito della sua scarcerazione. “La decisione della autorità americane di assegnargli una pena pari alla carcerazione già svolta con lui che accetta di dichiararsi colpevole fermandosi per poche ore in territorio americano per poi volare in Australia come persona libera è un compromesso”. Un compromesso che però gli ha salvato la vita. “Viva la democrazia che mette insieme questa vicenda in questo modo piuttosto che con un’automobile che ti investe mentre attraversi la strada e il tutto viene mascherato come incidente di autore ignoto perché l’automobilista si è dato alla fuga. Mi piace di più questo compromesso democratico”. Soluzione dal sapore elettorale. “Certo che in questo c’è un aggiustamento politico non estraneo al fatto che tra pochi mesi negli Usa si vota, però tutto sommato meglio così che l’ombrello con la punta avvelenata di non lontana memoria”, aggiunge. 

Arditti: “Chi ha onestà intellettuale sa che le operazioni militari si svolgono con violenza”

Nel lavoro di Assange quindi possiamo ritornare qualche elemento dell’indagine giornalista. “Ma secondo me le cose più forti e importanti che hanno fatto la storia del giornalismo sono avvenute con un lavoro che non ha bisogno di file riservati, ma ha bisogno semplicemente di guardare le cose per come possono essere viste, di analizzarle e di parlare con i protagonisti”. E viene immediatamente il paragone con uno scandalo politico statunitense che portò alle dimissioni dell’allora presidente Nixon, il Watergate. “Alla fine il Watergate cos’è se non una fuga di notizie gestita e orchestrata che usa i giornalisti e la libertà di stampa per colpire un avversario politico? A me piace l’idea di un giornalismo che non si mette con i documenti ottenuti chissà come, ma che sulla base di quello che può cercare e capire, giunge a delle conclusioni”.

Il ruolo di Assange è stato sicuramente determinante su alcuni aspetti, ma inutile su altri. “Chi di noi con onestà intellettuale potrebbe pensare che in operazioni come quelle militari americane in Afganistan o in Iraq le cose si possano svolgere senza eccessi di violenza? Nessuno”, afferma Arditti. “Quindi è vero, i file Wikileaks queste cose ce l’hanno mostrate per immagine. Però nessuna persona che conosce i fatti di guerra avrebbe mai pensato che tutto si sarebbe potuto svolgere senza travalicare mai l’uso consentito della violenza. La guerra è una brutta bestia ed è fatta di brutti gesti”.

I futuri rischi delle democrazie moderne

Ora che è finita l’odissea giudiziaria di Assange, ci si chiede quale eredità abbia lasciato. “Bisogna riconoscere che Assange è stato capace di diventare una figura iconica” Iconicità che l’hanno reso un punto di riferimento per tutti coloro alla ricerca di segreti. “Dico solo che ad una lettura più attenta e raffinata, che le cose sono più complesse”, afferma il direttore Arditti. 

Le democrazie odierne devono infatti aprire gli occhi perché inevitabilmente le attività del fondatore di Wikileaks potrebbero essere emulate. “Tantissime operazioni che si svolgono contro i nostri sistemi democratici sono sbandierate come grandi operazioni di libertà ma in realtà sfruttano i gradi di libertà che esistono solo da noi per compiere azioni ostili”. Azioni gravi che necessitano grande attenzione. “Questo non deve essere sottovalutato prima che sia troppo tardi”, conclude.