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L’inchiesta sulle molestie nel giornalismo

L’inchiesta sulle molestie nel giornalismo

Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? In collaborazione con Irpi Media è stata pubblicata un’inchiesta sulle molestie nel giornalismo italiano, con particolare attenzione ai percorsi di formazione. I risultati: un terzo del campione ha raccontato di aver subito discriminazioni, molestie verbali e sessuali in classe e negli stage. Ne abbiamo parlato con Roberta Cavaglià, una delle autrici dell’inchiesta.

“Voi con queste gonnelline mi provocate”. Con queste parole, dette da un formatore della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia alle sue alunne, si apre l’inchiesta di Francesca Candioli, Roberta Cavaglià e Stefania Prandi sulle molestie nel giornalismo italiano. Le ricerche sono state condotto per otto mesi, raccogliendo le testimonianze di molestie e discriminazioni di 239 studentesse e studenti, relative agli ultimi 10 anni di corsi. L’inchiesta, infatti, si concentra sui percorsi di formazione per diventare giornaliste e giornalisti: i master e gli stage.

Vista l’incidenza delle molestie, le autrici hanno deciso di portare le testimonianze raccolte di fronte a scuole, ordini regionali e ordine nazionale e di diffondere il vademecum su come riconoscere la violenza nei luoghi di formazione redatto dall’avvocata penalista Virginia Dascanio. Nessuna delle persone intervistate per questa inchiesta ha sporto denuncia per ciò che ha subito.

Le ricerche mostrano che la metà del campione ha assistito o saputo di molestie sessuali e verbali, tentate violenze sessuali, atti persecutori, stalking, ricatti e discriminazioni di genere. Inoltre circa un terzo (33%) ha descritto nel dettaglio, con nomi e cognomi, gli abusi subiti.

Per comprendere meglio com’è stata realizzata l’inchiesta e perché, ne abbiamo parlato con la giornalista Roberta Cavaglià, una delle autrici.

Come è nata l’idea di investigare le molestie sessuali nelle scuole di giornalismo? Avete incontrato resistenze nel portare avanti questa inchiesta?

L’idea ci è venuta dopo aver ricevuto tre segnalazioni iniziali di discriminazioni di genere e molestie sessuali durante conversazioni informali con studenti di giornalismo e redattrici. Da lì, abbiamo deciso di provare a fare delle ricerche per capire se si trattasse di casi isolati o se ci fosse un problema più generale.

Per realizzare l’inchiesta, abbiamo raccolto le testimonianze di 239 studentesse e studenti e quattro fonti interne ai dieci master di giornalismo attivi riconosciuti dall’Ordine. Ogni persona ha deciso di dare la propria testimonianza nei modi, nei tempi e con i mezzi che ha preferito.

Non tutte le persone che abbiamo contattato hanno segnalato di avere subito o essere state testimoni di molestie e discriminazioni. In alcuni casi noi sapevamo che erano in classi dove erano successi alcuni fatti, ma abbiamo cercato di non insistere appena capivamo che la persona con la quale stavamo interagendo non avesse voglia di entrare nel merito. Alcune studentesse hanno preferito lasciarsi il passato alle spalle, altre semplicemente non hanno ritenuto opportuno darci la loro fiducia. È un processo normale in un’inchiesta di questo tipo, che verte su questioni delicate che rischiano di essere rivittimizzanti se chi si ha di fronte non è ben disposta. 

Perché vi siete concentrate soprattutto sui percorsi di formazione?

Alcune ricerche internazionali affermano che le redazioni di giornali, radio e televisioni sono tra i luoghi di lavoro col più alto tasso di molestie sessuali e sessismo: secondo un sondaggio dell’International Women’s Media Foundation, ad esempio, quasi due giornaliste su tre hanno dichiarato di aver subito molestie durante la loro carriera.

Ci risulta quindi particolarmente grave e significativo che questi fatti possano avvenire già nella fase della formazione, quando la disparità di potere tra formatori e alunne è particolarmente accentuata, quindi abbiamo deciso di approfondire la situazione.

Come avete raccolto le diverse testimonianze?

Abbiamo prima lanciato un questionario, che è ancora aperto, rivolto a studentesse e giornaliste che vogliano segnalarci gli episodi di molestie e sessismo che possono aver vissuto e poi ci siamo concentrate sugli elenchi di iscritti e iscritte pubblicati sui siti delle scuole di giornalismo. Anche i social network sono stati utili  per avere un primo contatto con le alunne e gli alunni e raccogliere le testimonianze di chi ha dimostrato di avere voglia di un confronto con noi. 

Quali risultati vi hanno sorprese di più?

Quasi 250 testimonianze non sono un campione statisticamente valido, ma se di queste la metà è stata testimone o ha subito molestie possiamo considerarlo un campanello d’allarme, soprattutto perché gli episodi sono avvenuti nel corso degli ultimi 5 bienni e sono stati segnalati, nel corso delle lezioni e/o degli stage, da persone provenienti dalle 10 scuole di giornalismo attive e riconosciute dall’Ordine Nazionale dei giornalisti. Il nostro obiettivo non è puntare il dito contro un caso specifico, ma capire perché ci sia una situazione di questo tipo. Per capirla meglio abbiamo deciso quindi di avere anche un confronto con i referenti delle scuole, i rettori degli atenei di riferimento, gli ordini dei giornalisti locali e l’ordine nazionale, attraverso incontri online e risposte scritte alle nostre domande.

Qual è stata la reazione dei master di giornalismo quando avete presentato loro i risultati dell’inchiesta? E dell’Ordine dei giornalisti?

Tutte le scuole di giornalismo hanno accolto la nostra richiesta di confronto, la stragrande maggioranza con incontri che hanno richiesto una disponibilità di tempo non scontata. Crediamo che questo sia un buon segnale perché dimostra che, nonostante quel che è emerso dalla nostra inchiesta, esiste la possibilità di un cambiamento al quale tutti e tutte possono contribuire.

Di fronte al racconto delle testimonianze che abbiamo raccolto, li abbiamo visti sorpresi e molto dispiaciuti: erano sicuri di lavorare con persone di cui potersi assolutamente fidare. C’è è stato da parte di tutti l’impegno a migliorare le cose, monitorare la situazione e a lavorare ulteriormente sulla prevenzione.

I master di questo tipo e il giornalismo in generale offrono un supporto adeguato alle vittime di molestie? 

In base allo spaccato che è emerso nella nostra inchiesta, ci siamo accorte come di fatto manchi un apparato efficace in grado di raccogliere eventuali segnalazioni di molestie. Nelle università esistono degli sportelli e in alcune figure come la Consigliera di fiducia o il garante degli studenti, ma se parliamo di scuole di giornalismo servirebbe un servizio ad hoc. Si potrebbe pensare, ad esempio, ad una figura o più figure, che non siano giornalisti o docenti, ma che abbiano esperienza in fatto di molestie e conoscano il mondo della comunicazione, che si pongano in ascoltano e poi riferiscano direttamente ai vertici universitari e all’Ordine nazionale dei giornalisti. Per sentirsi sicure nel denunciare situazioni delicate servono ambienti protetti e figure con una formazione specifica.

Secondo lei cosa manca nel dibattito pubblico italiano relativo alle molestie sessuali nel mondo del giornalismo?

La domanda che riceviamo più spesso nelle interviste è: Perché nessuna ha denunciato? Il tassello che manca nel dibattito pubblico è il rovescio di questa domanda: perché, invece di dare la responsabilità alle giovani di denunciare, non ci preoccupiamo di controllare e intercettare gli eventuali abusatori all’interno delle scuole e durante gli stage?

Cosa stiamo facendo per impedire che avvenga? Cosa possiamo fare di più? Cosa posso fare io, come membro di un’università, di una scuola, di un ordine, per migliorare le cose, a livello individuale e collettivo? In che modo posso supportare le studentesse o, al contrario, segnalare a un collega un comportamento che mi sembra inappropriato?