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Sentenza migranti in Albania: “E’ diritto comunitario, il Governo può fare ben poco”

Sentenza migranti in Albania: “E’ diritto comunitario, il Governo può fare ben poco”

Perché l’articolo potrebbe interessarti? La sentenza con cui è stato negato il trattenimento dei migranti in Albania è al centro del dibattito politico: “Si è fatto riferimento a una sentenza del 4 ottobre della Corte Europea – ha chiarito una fonte diplomatica a True News – Tutto ruota attorno al concetto di Paesi sicuri e il governo non può fare molto”.

Da un affare relativo alla corte regionale di Brno, in Repubblica Ceca, a uno degli affari politicamente più scottanti in Italia degli ultimi mesi. La sentenza che più sta facendo discutere in queste ore, quella relativa ai migranti in Albania, è partita da lontano. E, in particolare, proprio dalla corte della cittadina ceca i cui giudici, nei mesi scorsi, hanno sollecitato le istituzioni giudiziarie europee a definire i contorni della definizione di “Paese sicuro”.

“La Corte Europea è in effetti intervenuta – sottolinea una fonte diplomatica contattata da True News – . Ed ha stabilito delle linee guida e i giudici di Roma ne hanno ovviamente tenuto conto, visto che si tratta di diritto comunitario”. Ed è per questo che, sempre secondo la fonte, “il governo può fare ben poco”.

La sentenza della discordia

Ma, ed è questa la domanda principale di queste ore, cos’ha stabilito il tribunale di Roma? E come mai attorno ai documenti firmati dai giudici si è alzato un gran polverone politico, sia a destra che a sinistra? Tutto parte ovviamente dal piano voluto da Giorgia Meloni nei mesi scorsi, il quale prevede lo sbarco di migranti salvati in acque internazionali direttamente in Albania. Un Paese terzo cioè, in cui impiantare strutture e centri per l’immediata accoglienza e per una più veloce valutazione della domanda di asilo da parte dei migranti.

L’obiettivo dell’esecutivo è quello, per l’appunto, di velocizzare le pratiche e quindi le eventuali espulsioni. Non solo, ma si è anche parlato di un principio di dissuasione, volto a scoraggiare potenziali migranti a intraprendere i viaggi della speranza verso l’Italia. I centri costruiti in Albania sono entrati in funzione nei giorni scorsi, quando 16 migranti sono stati scortati all’interno delle nuove strutture.

Quattro di loro sono stati trasferiti subito in Italia perché non avevano i requisiti per essere registrati nei centri albanesi (ma gestiti da Roma). Dopo un rapido esame della domanda di asilo, ai 12 rimasti è stata respinta la richiesta. La sentenza del tribunale di Roma però non riguarda il respingimento della domanda in sé, quanto invece il decreto di trattenimento emanato dalla Questura di Roma per i migranti ospitati in Albania.

Decreti del genere, come spiegato da fonti della Questura capitolina, devono poi essere convalidati dalla sezione del tribunale di Roma competente sull’immigrazione. E i giudici, per l’appunto, hanno dichiarato non valido il trattenimento in Albania e hanno ordinato l’immediato trasferimento dei 12 migranti in territorio italiano.

Perché è così importante la sentenza europea sui Paesi sicuri

Il motivo dello stop alla convalida è direttamente ricollegabile al protocollo stipulato tra Italia e Albania: nei centri costruiti nel Paese balcanico, in particolare, possono restare soltanto coloro che provengono da Paesi sicuri. I 12 migranti in questione arrivano da Egitto e Bangladesh, Paesi che per Roma sono sicuri in quanto non in guerra e dunque non pericolosi per chi fa ritorno.

Non è però dello stesso avviso la Corte di Giustizia europea. Qui a entrare in gioco è la sequela di sentenze sopra ricordate. I giudici di Brno infatti, nei mesi scorsi hanno respinto la richiesta di asilo di un cittadino moldavo, il quale ha poi fatto ricorso. Da questo ricorso, è nata la necessità della corte regionale di Brno di chiedere lumi sul concetto di Paese sicuro all’Europa.

La Corte con sede in Lussemburgo, il 4 ottobre scorso, ha chiarito due aspetti fondamentali per poter catalogare un Paese nella lista dei territori sicuri: in primis, non devono esserci reali e concreti pericoli per tutti i cittadini di un determinato Paese e, in secondo luogo, quel determinato Paese deve essere sicuro in ogni angolo del proprio territorio. Nel caso del cittadino moldavo, ad esempio, è stato stabilito che la Moldavia non è sicura in quanto al suo interno insiste la delicata questione riguardante la Transnistria.

La controversa definizione di Paese sicuro

I giudici di Roma, così come spiegato nel provvedimento, hanno dovuto tener conto della sentenza europea del 4 ottobre. In base a queste indicazioni, né Egitto e né Bangladesh sarebbero Paesi sicuri e dunque i migranti provenienti da lì non possono stare nei centri albanesi. Nulla è stato deciso sulla domanda di asilo in sé, più semplicemente i cittadini interessati dalla sentenza possono aspettare il ricorso nei centri italiani e con la libertà di spostamento nel nostro territorio.

“Il problema – spiega la fonte diplomatica ai nostri microfoni – è capire realmente cosa si intende per Paese sicuro. Non è solo un problema italiano”. Diversi governi hanno concetti e punti di vista differenti: per alcuni, basta che un determinato Paese non sia in guerra per catalogarlo sicuro, dall’altra parte invece c’è chi ritiene sicuro soltanto un Paese con un limpido ordinamento democratico.

“Egitto e Bangladesh non sono Paesi in guerra – sottolinea ancora la fonte – ma non è un mistero che qui, si pensi ad esempio al caso Regeni, le autorità ricorrano a volte alla tortura o a strumenti in grado di mettere a rischio l’incolumità dei cittadini”.

Cosa accadrà adesso

La reazione del governo è stata, come prevedibile, di ordine marcatamente politico. Meloni e Salvini hanno parlato di giudici politicizzati, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha invece giudicato “abnorme” la sentenza. Palazzo Chigi ha comunque fatto sapere di voler attuare un ricorso contro la decisione del tribunale di Roma ma, al tempo stesso e ammettendo così implicitamente la possibilità di sconfitta del ricorso, ha fatto riferimento a un nuovo intervento legislativo.

“Secondo me – sottolinea nuovamente la fonte diplomatica contattata – c’è poco su cui intervenire. C’è una sentenza europea di cui dover tenere conto. Si tratta di fatti extra politici, su cui non sempre si può incidere a suon di leggi”.