Perché leggere questo articolo? “C’è un enorme pregiudizio sulle storie che raccontano il mondo femminile anche nella sua leggerezza, ma in realtà quello che ha fatto Sophie Kinsella per la mia generazione non è molto diverso da ciò che ha fatto Jane Austen per le giovani donne inglesi in epoca vittoriana”: la scrittrice Carolina Capria, intervistata da true-news.it, punta l’indice contro il pregiudizio che ancora circonda la “cultura delle ragazze”. La Barbie di Greta Gerwig insegna…
Sophie Kinsella come Jane Austin. Un paragone che potrebbe far rabbrividire i cultori dei canoni letterari. Eppure la scrittrice bestseller della saga I love shopping ha raccontato con tono leggero e ironico, ma mai superficiale, cosa significasse essere una giovane donna nei primi anni Duemila, mettendo in luce tutte le contraddizioni che permeano la società contemporanea. Proprio come ha fatto Jane Austen per la sua generazione.
E’ quanto afferma la scrittrice Carolina Capria, anima di “L’ha scritto una femmina”, pagina social e bookclub che promuove la parità di genere in ambito letterario e non solo. True-news.it l’ha interpellata per approfondire quanto Kinsella sia ingiustamente considerata un’autrice di serie B (LEGGI QUI), dovendo scontare tutti quei pregiudizi che hanno a che fare col suo essere scrittrice di narrativa rosa, donna che parla di donne per le donne. L’enorme problema nel riconoscimento del valore femminile in ogni ambito della cultura continua a persistere, il caso di Sophie Kinsella è solo uno dei tanti, ma per Capria “un cambiamento culturale è già in atto, anche se purtroppo è molto lento”.
Innanzitutto, conosce Sophie Kinsella? Cosa ne pensa?
Sophie Kinsella ha fatto parte dei miei momenti di svago durante l’università. Quando uscì “I Love shopping” avevo vent’anni, e la storia di Rebecca Bloomwood – che raccontava una realtà molto lontana da quella che vivevo io – mi ha fatto compagnia e aperto le porte di un mondo che non conoscevo e che forse prima non sarei nemmeno stata in grado di apprezzare, quello del genere letterario denominato chick lit, costituito da storie scritte da donne, sulle donne, per le donne.
La presunta frivolezza delle sue storie è in realtà leggerezza in grado di cogliere tutte le sfumature dell’universo femminile e della società. Lei condivide?
C’è un enorme pregiudizio sulle storie che raccontano il mondo femminile anche nella sua leggerezza, ma in realtà quello che ha fatto Sophie Kinsella per la mia generazione non è molto diverso da ciò che ha fatto Jane Austen per le giovani donne inglesi dell’epoca vittoriana. Kinsella ha raccontato con tono brillante e ironico, cosa significasse essere una giovane donna nei primi anni Duemila, le contraddizioni dell’emancipazione e di una società capitalista in cui siamo ciò che consumiamo.
La saga I Love Shopping è stata capace di catturare l’attenzione e i desideri di milioni di lettrici. Nonostante il successo, Kinsella rimane considerata un’autrice di serie B. Secondo lei, Madeleine Wickham sta scontando tutti quei pregiudizi che hanno a che fare con l’essere donna e autrice di narrativa rosa?
Assolutamente sì. Tutto quello che fa parte della “cultura delle ragazze” è considerato frivolo e di poco valore, qualcosa che si può giudicare senza bisogno di conoscere ciò che si critica. È un po’ quello che è accaduto di recente anche al film Barbie di Greta Gerwig, molti lo hanno criticato senza rendersi conto che era una celebrazione di un tipo di cultura, quella che abitiamo dall’infanzia e nella quale si incarna l’esperienza femminile.
La storia della letteratura è costellata da figure femminili che vengono sottovalutate e dimenticate, nonostante la loro importanza e influenza. Perchè ancora oggi le parole delle donne che scrivono sono considerate meno autorevoli?
C’è un enorme problema nel riconoscimento del valore femminile in ogni ambito della cultura (e non solo). E questo perché le donne ancora oggi, nonostante decenni di battaglie per la parità, non riescono a entrare nel canone letterario. Finché nei libri di testo scolastici non ci sarà anche un numero considerevole di donne – al momento spesso non viene nemmeno rilevata la loro presenza – si avrà sempre la percezione che le donne abbiano avuto un ruolo marginale e trascurabile nella storia della letteratura (e dell’umanità). Credo che un cambiamento culturale sia in atto, ma purtroppo è molto lento.
Un altro esempio recente è La Fabbricante di lacrime, fenomeno editoriale del momento investito da polemiche e in cui dietro c’è sempre una donna. Cosa ci può dire a riguardo?
Onestamente non posso dire molto perché non ho avuto occasione di leggere il libro, ma sono convinta di una cosa: quando un testo ha grande successo merita gli sia tributato il merito di parlare ai ragazzi e alle ragazze. Se tanti giovani hanno letto questo romanzo è perché l’autrice è stata in grado di parlare con loro, di interagire attraverso le sue parole con i lettori e le lettrici. Per me questo merita un plauso.
In generale, poche sono le scrittrici donne considerate rilevanti per il panorama editoriale. Ci può citare altri casi che possono emblematicamente smentire ogni pregiudizio di genere?
Se guardiamo all’ultimo anno una cosa è certa: le donne vendono. I libri scritti da donne in questo momento sembrano avere qualcosa in più, forse proprio perché da lettori e lettrici abbiamo voglia e bisogno di ascoltare punti di vista meno scontati, meno conosciuti. In questo momento in Italia abbiamo delle scrittrici meravigliose, piene di talento e cose da dire: Valentina Mira, Maria Grazia Calandrone, Donatella di Pietrantonio, Viola Ardone, Aurora Tamiglio, Nadia Terrannova… solo le prime che mi sono venute in mente.
Arriverà mai una svolta culturale?
Sì. I cambiamenti culturali sono lenti, ma basta guardarsi intorno per rendersi conto che le donne prendono sempre più spazio. Anzi, prendono lo spazio che spetta loro.