Quali lavori scompariranno nei prossimi decenni? E quali invece, che ancora non esistono, potrebbero svilupparsi? Quale sarà l’impatto di tecnologia ed Intelligenza artificiale? Ne abbiamo parlato con Cristina Tajani, esperta di tematiche del lavoro. “La politica deve limitare le conseguenze negative della transizione in atto”. L’intervista
Tutte le incognite sul rapporto tra tecnologia e futuro del lavoro: quali professioni sopravviveranno e quali invece scompariranno? Come orientarsi in questo contesto? Ne abbiamo parlato con Cristina Tajani, oggi senatrice del Pd, esperta di tematiche legate al mondo del lavoro e già presidente di Anpal Servizi spa, società in house di Anpal, l’ex Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro.
Quale è secondo lei il futuro del lavoro in Italia e su cosa è bene focalizzarsi in quanto ai percorsi di studio?
Molto dipenderà dalla traiettoria di sviluppo che il Paese saprà intraprendere nei prossimi anni. L’Italia è un paese dalla forte tradizione manifatturiera, oggi messo alla prova dalle sfide della doppia transizione digitale ed ambientale, oltre che dal complesso contesto geopolitico. Se sapremo intraprendere la via alta della competizione, anche attraverso adeguate politiche industriali, si apriranno spazi nei settori legati a queste transizioni: digitale, applicazioni dell’intelligenza artificiale all’industria, scienze della vita, biotecnologie, energia. In caso contrario rimarremo intrappolati in una traiettoria dominata dal terziario povero o dalle industrie mature con bassi salari e continua fuga dei cervelli verso l’estero. Indubbiamente le competenze che oggi hanno più valore nel mercato del lavoro sono quelle Stem, ancora troppo poco preferite dai giovani italiani, soprattutto dalle ragazze.
Quali mestieri sono destinati a scomparire e perché?
Il cambiamento tecnologico che in passato ha impattato soprattutto sulle professioni manuali, oggi lambisce anche diverse professioni intellettuali (penso al mondo delle traduzioni, della programmazione, in certa misura anche il giornalismo). Ma non credo che questi mestieri scompariranno, piuttosto che si trasformeranno. E dobbiamo preparare i giovani a questa trasformazione con una formazione adeguata.
Si parla di lavori che ancora non esistono, quali potrebbero essere?
Avremo bisogno di professionisti in grado di capire e indirizzare in termini socialmente desiderabili le diverse forme di intelligenza artificiale. Insieme alle competenze tecniche serviranno competenze di natura umanistica. E questa è senz’altro una buona notizia per un Paese come il nostro.
Sentiamo spesso dire che l’intelligenza artificiale “ruberà” il lavoro alle persone. Secondo lei è così?
Quando mi si rivolge questa domanda mi viene sempre in mente un film di Theodore Melfi del 2016, “Il diritto di contare”. Racconta di un gruppo di scienziate afroamericane che negli anni 60 lavoravano alla NASA elaborando complessi calcoli manualmente. La loro competenza sembrava minacciata dall’avvento dei calcolatori elettronici, più veloci e precisi. Ma loro capiscono che per non perdere il lavoro l’unica cosa che possono fare è imparare a dominare e utilizzare sempre meglio queste macchine. Quindi forse in una battuta possiamo dire che l’intelligenza artificiale ruberà il lavoro a chi non saprà utilizzarla e controllarla. La politica però deve farsi carico anche di questo, cercando di limitare le conseguenze negative della transizione in atto.