Chi è oggi Barbara Bartolotti, sopravvissuta a un tentativo di femminicidio nel 2003: “Non so come ho trovato la forza di rialzarmi, viva per miracolo”. Vittima di una violenta aggressione da parte di un collega, ha spesso raccontato la sua storia in televisione: “Lo Stato mi ha abbandonata”.
Chi è oggi Barbara Bartolotti, la storia di una sopravvissuta al femminicidio
Nata nel 1974, la vita della palermitana Barbara Bartolotti è stata segnata da un efferato tentativo di femminicidio il 20 dicembre del 2003 che ha cambiato completamente la sua vita. Il suo nome è diventato tristemente noto a causa del suo coinvolgimento in un disturbante caso di cronaca nera, che l’ha vista vittima di una violenta aggressione da parte di un suo collega di lavoro, un uomo originario di Marineo, Giuseppe Perrone: “Ancora non mi spiego come sia riuscita a sopravvivere, cosa mi abbia dato la forza di tirarmi in piedi e di rimanere lucida fino all’arrivo in ospedale. Ripeto, è un miracolo. Dico sempre di aver vissuto due vite. E la prima è stata un martirio”.
All’epoca dei fatti aveva 29 anni, era sposata e mamma di due bambini e incinta di un terzo. Bartolotti lavorava come segretaria contabile in un’impresa edile ed aveva spesso collaborato con Perrone, in apparenza un uomo mite ed educato. Anche per questo quando l’uomo le chiede di raggiungerla a Marineo per parlarle in privato di una questione lavorativa, Barbara non si pone alcun problema ad incontrarlo: “Non aveva mai mostrato segni di squilibrio, né aveva mai fatto avances. Uno di quelli da cui non ti aspetti che possa mostrarsi per quello che non è, sembrava affidabile. Mi accompagnava spesso in banca o in uffici, pertanto capitava non di rado che io salissi in macchina con lui”.
Violenza e terrore, il momento dell’aggressione
Quel pomeriggio del 20 dicembre 2003 sembra esserci subito qualcosa di strano nell’atteggiamento di Perrone. Lo racconta la stessa Barbara in una serie di interviste: “Mi disse che avremmo fatto un giro per il quartiere. In realtà imboccò la statale verso Carini. In via Cristoforo Colombo gli dissi di fermare l’auto perché dovevo rispondere a mio marito”. La donna spiega di non avere neanche avuto il tempo di fare la telefonata: mentre sta prendendo il suo cellulare dalla borsa, Perrone la colpisce alla nuca con un martello, sibilando “Se non ti posso avere, è meglio se ti uccido”. L’uomo la colpisce con tre martellate, la prende a calci e pugni e le da una coltellata al ventre, ponendo fine alla sua gravidanza. Mentre Barbara è ancora inerme a terra, Perrone si è poi avvicinato al cofano dell’auto, da cui prende dei giornali e una tanica di benzina, con cui cosparge la donna di liquido infiammabile prima darla alle fiamme.
Nonostante la paura, l’orrore e l’immenso dolore di quei momenti, Barbara non si è arresa, come spiega a Il Giornale: “Ardevo sull’asfalto, ma ho pensato che non potevo dargliela vinta. Così, quando lui è salito in macchina io mi sono finta morta e ho aspettato che si allontanasse. Poi, sono fuggita via scavalcando il filo spinato che delimita la carreggiata, mi serviva una scorciatoia. Correvo carbonizzata, con il corpo completamente insanguinato, lungo la tangenziale. Due persone mi hanno caricata in macchina e mi hanno portata in ospedale. Arrivata al pronto soccorso, l’unica frase che sono riuscita a pronunciare è stato il nome del mio assassino. Poi, mi sono accasciata“.
Barbara Bartolotti dopo l’incubo: “Lui è libero, lo Stato mi ha abbandonata”
Barbara Bartolotti restò in coma per dieci giorni e rimase ricoverata in ospedale per sei mesi, durante i quali si sottopose a 27 interventi chirurgici. Il suo ex collega confessò tutto e fu condannato per tentato omicidio ad una pena di 25 anni di reclusione. A conti fatti, tuttavia, la pena di Perrone viene ridotta a quattro anni di domiciliari e, grazie a questi sconti di pena, oggi è sposato, ha due figli e ha un buon lavoro in banca.
La sua vittima non ha avuto la sua stessa fortuna. Da un lato nel 2007 ha avuto un’altra figlia, Federica, considerata il suo “simbolo della rinascita”, ma dall’altro la sua vita è stata piena di altre difficoltà e sofferenze: “Sono stata licenziata, poiché il titolare dell’azienda per cui lavoravo era un parente del mio aggressore e da allora non ho più trovato lavoro. Ho un corpo deturpato e un figlio ucciso”. Non si fa alcun problema a puntare il dito in alto: “Io non ho paura a dirlo: lo Stato mi ha abbandonata. E il paradosso è che mio marito fa il poliziotto e di quello stesso Stato ne è un ligio servitore. Io pago tutto, dalle terapie a cui ancora mi sottopongo ai farmaci, oltre alle spese che ha una normale famiglia che vuole vivere onestamente e che prova a tirare su tre figli perbene in una realtà difficile come Palermo”.
L’impegno nel sociale, la fondazione di Libera di vivere
Barbara Bartolotti ha deciso di parlare quanto più possibile del suo incubo, per aiutare chi, come lei, ha visto crollare la propria vita dopo episodi di efferata violenza. Ha scritto un libro sulla sua storia e ha fondato un’associazione per aiutare le donne in difficoltà a denunciare i loro carnefici: “Da qualche anno ho aperto un’associazione “Libera di vivere” e sono stata ospite in diverse trasmissioni nazionali. Anche nelle scuole e in altri eventi vengo invitata spesso per raccontare la mia storia. Lo faccio volentieri, perché quello che è successo a me non deve accadere mai più a nessuno“. La sua iniziativa, tuttavia, ha incontrato molte difficoltà a causa dell’indifferenza delle autorità locali: “Sto combattendo con il comune di Palermo da anni ma al sindaco non importa nulla del mio progetto. E io come faccio da sola? Ho tre figli, di cui due sono femmine, li devo proteggere. Ma se pensano che io molli, si sbagliano. Sono sopravvissuta alle martellate, ad una coltellata in pancia e alle fiamme. Non mi ferma niente e nessuno”.