Mentre ci stavamo preparando ad un futuro senza pandemia, o comunque ad una minaccia ormai sotto controllo, quella del virus, e ci stavamo per rassegnare al controllo digitale, alla cyber war, rinunciando alla libertà delle nostre abitudini, dei nostri modelli, alla nostra privacy; la paura si è ripresa la scena. Una paura tradizionale quella della guerra, del conflitto, delle difficoltà alimentari, delle carenze energetiche, del dolore fisico. E tutti a chiederci cosa sarà mai la guerra con i carri armati, i fucili, le bombe.
Ci rendiamo improvvisamente conto che tutte le nostre dipendenze, alimentate da una rivoluzione digitale inarrestabile, senza controllo e senza freni, e percepite come bisogni essenziali, tornano ad essere secondarie, superflue, ma, nello stesso tempo, gli strumenti digitali e l’interconnessione globale, sui quali abbiamo fondato la nostra sensazione di benessere, diventano strumenti utili anche per la guerra, per la libertà, per comunicare, conoscere.
Increduli assistiamo, impotenti riflettiamo, e ascoltiamo ancora e ancora osservatori, esperti di geopolitica, inviati di guerra – pensavamo a quest’ultima come ad una figura professionale ormai desueta – per cercare un filo logico coerente e completo che possa aiutarci a interpretare gli eventi e delineare cosa potrà accadere dopo, ma se da un lato tutto ci appare difficile da capire, dall’altro tutto si vede e comprende benissimo.
Cosa fare? Mantenere l’equilibrio, nel disequilibrio, continuare ad essere positivi, nonostante le difficoltà, resistere ai cambiamenti di scenari che potranno coinvolgere anche le nostre vite, perché non possiamo condizionare ciò che accade negli equilibri geopolitici, tutto ciò non dipende da noi.
Ma da noi dipendono le nostre vite, quelle dei nostri figli, delle nostre aziende. E da ognuno di noi dipende un piccolo impatto sulle comunità in cui viviamo. Se costruiamo con la paura, sulla paura, tutto sarà labile, condizionato, e gli obiettivi che ci siamo dati sembreranno irraggiungibili ed al risveglio potremmo avere il grande rammarico di non aver fatto la nostra piccola parte, per l’Occidente, per l’Europa, per noi, per le nostre imprese e questo rischio non possiamo correrlo oggi.
“La nostra forza è la verità: perciò vinceremo”, così Zalenski, da qualche parte a Kiev, in Europa, per spronare la propria gente a combattere per la propria libertà e per il proprio futuro. E così, con questa breve riflessione, anche noi non possiamo che pensare nervi saldi, menti lucide, e avanti!
Giuseppe Calabrese, CEO Secursat