“Il veleno nella coda” (Ed. Laurana), primo romanzo di Francesco Mazza, è tante cose, così tante da costituire un incubo per il recensore che, stretto in un limite di battute, ne voglia scrivere.
E’, anzitutto, il racconto senza filtri della vita straordinaria dell’autore, una vita che non ha nulla di ordinario, dato che il protagonista attraversa, per due decenni, alti e bassi della nostra “società dello spettacolo”. Come in una sorta di Zelig di Woody Allen, troviamo il protagonista ospite “giovane” dei programmi di Michele Santoro degli anni ’90, conduttore TV nel cazzeggio del pomeriggio Mediaset di inizio 2000, poi autore di Striscia la Notizia, e nel mezzo candidato a Milano al fianco dell’antiberlusconiano Giuliano Pisapia e “socio” in affari di Silvio Berlusconi, quello vero. E ancora ultras del Milan, writer nei tunnel della metropolitana, giornalista per Charlie Hebdo, studente di cinema squattrinato a New York e tanto altro ancora.
Il rapporto padre-figlio
Ma è anche il racconto di un rapporto padre e figlio altrettanto straordinario: motore immobile della vita di Francesco Mazza è infatti suo padre, il dottor Massimo Mazza, la cui vita non è meno movimentata di quella dell’autore. Figlio di un uomo mentalmente instabile, nasce e cresce poverissimo per arrivare a Milano, alla fine degli anni ’70, dove si laurea in Medicina e dove soprattutto conosce e sposa la figlia di un noto chirurgo, pensando di essersi sistemato.
Peccato che il noto chirurgo però del genero non ne voglia sapere, e così la neonata famiglia Mazza è costretta a vivere nella periferia estrema della città, tra stenti e scarafaggi. Ma sono gli anni ’80, quelli dove tutto è possibile se si ha abbastanza coraggio per volerlo davvero.
Così il dottor Mazza diventa protagonista di una spettacolare scalata sociale che lo porta a diventare dentista e amico intimo di Silvio Berlusconi, proprio negli anni in cui suo figlio Francesco, per altre vie, inizia a lavorare a Mediaset. Sembra una storia aspirazionale, il cui epilogo però si rivela tragico: dopo un decennio a stretto contatto con il “Presidente”, dopo aver collezionato una serie di successi, il dottor Mazza attraversa una crisi personale da cui non si riprenderà. Nel 2019 si toglie la vita nel suo studio milanese.
“Il veleno nella coda” è il racconto di due vite fuori dal comune, di un rapporto padre-figlio ambiguo e contradditorio, che nasce e si sviluppa sotto il segno dell’amore mischiato alla violenza e che affoga nel mistero del suicidio. Un caso di autofiction che ha l’enorme privilegio di non cedere nemmeno di un millimetro né all’autocelebrazione né all’autocompatimento. Caso più unico che raro in Italia, Mazza scrive senza concessioni di nessuna sorta alla retorica, come dimostrato dalla frase che inaugura il libro, in cui l’autore racconta imperturbabile il modo in cui viene a conoscenza del suicidio del padre. “Senza pudore”, “senza vergogna”, sono alcune delle espressioni utilizzate per descriverne lo stile, ma forse la definizione più appropriata è semplicemente quella che fa riferimento alla qualità che contraddistingue il libro, e che più manca alla maggior parte degli scrittori di casa nostra: la sincerità.
La “coscienza di Zeno dei nostri giorni”
Una sincerità ora caustica, spesso ironica, a volte esilarante, altre ancora – come nel finale, davanti al corpo senza vita del padre suicida – di devastante tragicità.
Ma c’è dell’altro nelle 600 pagine che compongono il libro, motivo per cui è impossibile sia recensire il libro in modo esaustivo, sia dargli una stabile collocazione “di genere”.
Dimostrando di possedere un senso del ritmo fuori dal comune, Mazza incrocia la sua storia personale con quella del Paese, in un perfetto gioco di rimandi tra il personale e il collettivo, tra l’individuale e il generale. Le fortune del Paese si specchiano in quelle della sua famiglia; lo sgretolarsi dei rapporti umani e familiari della vita del protagonista trova origine e spiegazione nel progressivo deragliamento del Paese. E’ un qualcosa di mai visto nella nostra letteratura, o perlomeno, di mai perseguito e ricercato in modo così preciso, quasi scientifico, e tuttavia perfettamente naturale; un qualcosa che è stato preso assai sul serio, se è vero che Giovanni Pacchiano ha parlato de “Il veleno nella coda” come della “coscienza di Zeno dei nostri giorni”. Che il paragone sia o meno azzardato, non ha importanza: l’importante è che le 600 pagine del libro scorrano via con una velocità disarmante, e che la lettura dello stesso appaia come l’equivalente di una seduta di psicanalisi collettiva, in cui un intero Paese può guardarsi allo specchio e, per la prima volta, valutare da un punto di vista culturale e storiografico l’impatto che gli ultimi 30 anni di storia italiana hanno avuto sulla vita di ognuno di noi.
“Il veleno nella coda” verso il Premio Strega 2022
Se si aggiunge che alla fine del libro viene pubblicato anche il diario originale del padre, Massimo Mazza, terminato pochi attimi prima di togliersi la vita, e che dunque si tratta del primo caso di libro che contiene l’autobiografia (romanzata) del figlio e quella del padre, si capisce perché “Il veleno nella coda”, già definito “un cult”, possa essere considerato uno dei libri che resteranno di questo 2021. Alcuni rumors, del resto, lo danno già tra i candidati al Premio Strega 2022 in quota editori indipendenti.
Alessia Casiraghi