Il Natale arriva in un mondo colpito da guerre, crisi globali, tensioni. Dopo le due volte del Natale nel mondo “virato” sotto scacco per il Covid, il 2022 e il 2023 hanno portato il Natale a essere associato al mondo in guerra. Tanto più che oggi il Natale arriva in un contesto che vede addirittura la città della Natività, Betlemme, silenziosa e angosciata in un Medio Oriente assediato dal conflitto.
Il Natale e il “ritorno del Sole”
Quali sentimenti hanno definito questi ultimi anni? Paura, ansia e incertezza. Uno slancio affannato per guardare al mondo oltre i vincoli dell’era presente. La paura, le ansie e l’incertezza del domani sono state compagne dell’uomo nella storia, e in un certo senso la diffusione globale della religione cristiana è passata anche per il messaggio dirompente che si sostanzia nel Natale. Bene lo ha spiegato il defunto Papa Benedetto XVI nel 1960 nel suo scritto “Il Sole a Natale”, riportato ne “La paura e la speranza”, nell’ultimo volume dell’Opera omnia “Gesù di Nazaret – Scritti di cristologia” (Libreria Editrice Vaticana).
Joseph Ratzinger, allora giovane e affermato teologo 33enne dell’Università di Bonn a definire l’equiparazione tra il Natale e la speranza era innanzitutto la sua identificazione simbolica come passaggio dall’era delle tenebre all’era della luce. Il Natale cristiano sostituì nella devozione popolare il Solstizio d’Inverno, per molti popoli europei (e non solo) caricato di una grande importanza simbolica.
“È vero, la paura primitiva è passata, ma è anche scomparsa la paura in assoluto? O l’uomo non continua forse a essere definito dalla paura, a tal punto che la filosofia di oggi indica la paura proprio come “esistenziale fondamentale” dell’uomo?”. Nell’antichità, il Solstizio rappresentava il simbolico “ritorno del Sole”, l’allungamento delle giornate, la vittoria, nelle religioni pagane, del bene sul male, la motivazione della divinizzazione della natura e delle sue componenti.
Ratzinger e il “dialogo incessante tra fede e mondo”
Ratzinger nel 1960 invitava a spingere più in là la sua riflessione. “Il sole è buono e noi ci rallegriamo quanto voi per la sua continua vittoria. Ma il sole non possiede alcuna forza da se stesso”, commentava. Ma, ammoniva, “esistono un’oscurità e un freddo rispetto ai quali il sole è impotente? Sono quell’oscurità e quel freddo che provengono dal cuore ottenebrato dell’uomo: odio, ingiustizia, cinico abuso della verità, crudeltà e degradazione dell’uomo”. Il Natale diviene il simbolo, dunque, della luce divina che scaccia queste tenebre e della necessità di guardare al futuro.
Ratzinger, in quell’epoca, invitava a portare i semi della riflessione del Natale anche ai non credenti, riprendendo il compito affidato dall’evangelista Giovanni a Giovanni Battista di “testimone” della luce: “il dialogo del cristiano con gli adoratori romani del sole è come il dialogo del credente di oggi col suo fratello non credente, è il dialogo incessante tra fede e mondo”.
Il Natale simbolo di speranza nella visione di Ratzinger
E anche se “la paura primitiva che il sole un giorno potrebbe scomparire ormai non ci agita più: la fisica, col fresco soffio delle sue formule chiare, l’ha scacciata da tempo”, Ratzinger focalizzava la sua attenzione su paure ben più cogenti. “Noi”, scriveva, “abbiamo paura del buio che proviene dagli uomini; scoprendo solo così quella vera oscurità che, in questo secolo di disumanità, abbiamo sperimentato più spaventosamente di quanto le generazioni che ci hanno preceduto avrebbero mai potuto immaginare. Abbiamo paura che il bene nel mondo divenga impotente, che non abbia più senso scegliere la verità, la purezza, la giustizia, l’amore, perché ormai nel mondo vale la legge di chi meglio sa farsi strada a gomitate”.
Una lettura che si potrebbe applicare al mondo d’oggi. Un mondo che da anni cammina come un sonnambulo su un crinale pericoloso. Diviso tra sfide a tutto campo, trinceramenti egoistici e nazionalisti, eredità di partite mondiali complesse sul fronte economico, decadimento dei simboli e dei legami sociali. Un mondo in cui, secondo Ratzinger, “la Santa Notte” simboleggia “il ritorno della Luce”, ovvero all’ultima parola di Dio nella storia. Una luce che, ricordava il futuro pontefice, “non morirà, ma ha già in pugno la vittoria finale”.
E che simbolicamente potremmo indicare a livello sociale e collettivo come il prodotto delle forze del dialogo sociale, politico, interreligioso, comunitario su cui la civiltà dei diritti e del progresso dovrebbero focalizzarsi. Chiamando a raccolta non solo chi è credente ma, per citare la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, tutti “gli uomini di buona volontà”. Un ralliement che nel Natale e nel suo messaggio culturale, oltre che spirituale, è quantomeno doveroso invocare.