Mario, chi era il primo caso di suicido assistito in Italia: il suo vero nome è stato reso noto solo dopo la sua morte avvenuta nella mattinata del 16 giugno 2022, una data storica.
Mario, chi era il primo caso di suicido assistito in Italia
Mario era un nome di fantasia: in realtà si chiamava Federico ed aveva 44 anni. Viveva a Senigallia, provincia di Ancona, insieme a sua mamma. Prima dell’incidente, Federico era un camionista e macinava km in tutta Italia. Poi lo schianto e la sua vita cambia per sempre. Paralizzato, dalle spalle ai piedi, non ha mia perso la lucidità né la voce. Dopo la morte del padre nel 2015, era assistito dalla madre e dagli infermieri ogni giorno.
Federico è il primo italiano ad aver chiesto e ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito, reso legale dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019 sul caso Cappato-Antoniani (dj Fabo). Federico è morto nella sua abitazione dopo essersi autosomministrato il farmaco letale attraverso un macchinario apposito, costato circa 5mila euro, interamente a suo carico, e per il quale l’Associazione Luca Coscioni aveva lanciato una raccolta fondi.
Il suo vero nome pubblicato dopo la morte
Finora la sua identità era rimasta nascosta come aveva chiesto lo stesso Federico. Subito dopo la sua morte, l’Associazione Luca Coscioni, che lo assistito nella sua battaglia legale, per la raccolta fondi necessaria ad acquistare la strumentazione e il farmaco letale, ha rivelato il suo nome e il suo volto.
“Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così”. Sono le ultime parole di Federico, scritte in una lettera di qualche settimana fa.
“Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità – aggiungeva – ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico. Posso dire che da quando a febbraio ho ricevuto l’ultimo parere positivo sul farmaco ci sto pensando più e più volte al giorno se sono sicuro di quanto andrò a fare, perché so che premendo quel bottone sarà un addormentarsi chiudendo gli occhi senza più ritorno, ma pensando ogni giorno, appena sveglio fino alla sera quando mi addormento, come vivo e passo le mie giornate e rimandare cosa mi cambierebbe, niente sarebbe solo rimandare dolori, sofferenze che non avrebbe senso, non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana, sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò”.
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