Referendum giustizia 2022, perché votare no? Il 12 giugno i cittadini sono chiamati alle urne per rispondere ad una serie di quesiti abrogativi molto tecnici riguardanti la magistratura. Ecco le ragioni di chi si oppone ai cinque quesiti referendari.
Referendum giustizia 2022, i quesiti referendari
Manca poco alle votazioni per il referendum Giustizia Giusta. Dopo il vaglio della Corte Costituzionale, cinque sui sei quesiti abrogativi promossi dai Radicali e dalla Lega verranno sottoposti al voto popolare domenica 12 giugno. In caso di raggiungimento del quorum, alcune leggi che regolano il nostro sistema giudiziario potrebbero subire dei cambiamenti. Con “referendum abrogativo” si intende uno strumento con il quale gli elettori possono votare l’abrogazione o rimozione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge. Se da un lato sono in molti a promuovere il voto favorevole al referendum, sono altrettanti quelli che invece si oppongono ai quesiti e si schierano per il “No“. Scopriamo le loro ragioni.
Perché votare no al referendum giustizia 2022: le ragioni
Primo quesito, perché votare no
Il primo quesito del referendum ha come obiettivo l’abrogazione della Legge Severino sull’incandidabilità, la decadenza e la sospensione dei politici condannati per reati gravi. In pratica, la Legge Severino esclude automaticamente chi commette crimini gravi dagli incarichi politici. Per i parlamentari tale pena scatta solo dopo la sentenza definitiva, mentre per gli amministratori locali in alcuni casi basta la sentenza di primo grado. Una situazione forse sbilanciata a favore dei parlamentari. In caso di vittoria del “Si”, tuttavia, l’intera legge sarebbe abrogata, non solo la parte che penalizza gli amministratori locali.
Secondo quesito, perché votare no
Il secondo quesito riguarda la custodia cautelare, ovvero la privazione della libertà all’imputato prima della sentenza definitiva, di norma per prevenire la reiterazione di un reato. Si vota per eliminarne l’uso per i crimini meno gravi, mantenendola solo per i crimini di natura violenta. Se da un lato la custodia cautelare è una misura molto abusata dalla magistratura, dall’altro limitarne l’uso in questa maniera potrebbe essere dannoso per la sicurezza dei cittadini. Non sarebbe più possibile sottoporre a custodia cautelare i presunti autori di furti, spaccio, estorsione e minacce. Sarebbero inoltre esclusi gli autori dei cosiddetti “reati da colletti bianchi“, come corruzione o concussione.
Terzo quesito, perché votare no
Il terzo quesito propone di separare le carriere dei magistrati, eliminando la possibilità di passare da un ruolo inquirente, ovvero il Pubblico Ministero, chi si occupa delle indagini, a un ruolo giudicante, ovvero il giudice che emette le sentenze. Per il partito del “No”, il quesito non separa davvero le carriere, in quanto i giudici e i PM continuerebbero comunque a seguire gli stessi percorsi di formazione e concorsi. Inoltre, togliendo il pubblico ministero dalla giurisdizione lo renderebbe meno indipendente e più facilmente manovrabile dal potere politico.
Quarto quesito, perché votare no
Il quarto quesito ha come obiettivo permettere ad avvocati e professori universitari facenti parte del Consiglio Superiore della Magistratura di valutare l’operato dei magistrati. Il Consiglio è l’organo di autogoverno della magistratura composto da 24 membri, eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati. Avvocati e professori sono i cosiddetti “membri laici” del CSM che, infatti, non hanno potere di decisione sulla valutazione disciplinare dei giudici, materia dove i pareri dei magistrati contano di più. Con una vittoria del “Si”, anche il parere dei membri laici verrebbe preso in considerazione nelle valutazioni. Secondo il partito del “No”, vi è tuttavia un conflitto di interesse insanabile. Un avvocato, naturale controparte del giudice, non potrebbe giudicarne l’operato in maniera oggettiva.
Quinto quesito, perché votare no
Il quinto e ultimo quesito del referendum vuole eliminare l’obbligo per i magistrati di presentare da 25 a 50 firme di altri magistrati per candidarsi come membri del CSM. Il partito del “No” sostiene che eliminare l’obbligo di firma non avrebbe alcun effetto sull’influenza delle correnti interne della magistratura. L’obbligo di presentare le firme ha invece lo scopo di dimostrare l’esistenza di una base minima di consenso con la propria candidatura.