La pandemia da coronavirus ha evidenziato la profonda arretratezza italiana sui temi legati al digitale, mostrando come per alcuni comparti del Paese lo smart working rappresentasse qualcosa di molto molto lontano. La pubblica amministrazione rientra tra quei settori che maggiormente hanno accusato la necessità di lavorare da casa, con tutto ciò che ne è conseguito, in una prima fase, in termini di produttività e inefficacia. Se ai problemi di arretratezza tecnologica e digitale si aggiunge poi una forza lavoro spesso non giovane è evidente come si sia reso necessario intervenire in tal senso.
Il governo Draghi si sta adoperando per ovviare a queste problematiche ed ha previsto nuovi concorsi pubblici che aumenteranno la forza lavoro, ringiovanendola e aumentando negli organici della PA le competenze digitali e informatiche.
Per quanto riguarda lo smart working il decreto del 26 aprile sancisce la proroga dello stesso per la pubblica amministrazione fino al 31 luglio, con l’ipotesi di arrivare alla fine di settembre. Il nuovo decreto allunga infatti lo stato d’emergenza fino al 31 luglio generando in automatico anche un effetto sulla normativa del lavoro agile emergenziale. Quest’ultima ha consentito fin qui alle aziende di far ricorso allo smart working senza la necessità di dover sottoscrivere un accordo individuale con i lavoratori come invece previsto dalla legge n.81 del 2017.
Lo smart working nella pubblica amministrazione
Il prolungamento della deroga sulla legge che regola in Italia lo smart working interesserà molti lavoratori in Italia. Dai dati riportati Randstad Research, a marzo 2021 sono stati oltre 6 milioni coloro che hanno fatto ricorso al lavoro agile e nel successivo trimestre saranno almeno 3 milioni coloro che continueranno a svolgere le proprie mansioni con questa modalità. Numeri molto alti, soprattutto se si pensa che prima della pandemia i lavoratori da remoto registrati in Italia erano stati 570mila. Anche nel confronto con gli altri Stati dell’Unione Europea, l’Italia nel periodo emergenziale è stata tra i Paesi che maggiormente hanno fatto ricorso allo smart working con una percentuale del 40% dei lavoratori. La media europea è del 34% e solo Irlanda e Belgio hanno operato da casa con percentuali più alte di quelle italiane.
Per capire quale sia la quota di smart workers riguardanti il settore della pubblica amministrazione è bene tenere presente il report fornito dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano. Secondo il documento sarebbero 1,8 milioni gli impiegati pubblici in modalità di lavoro agile, mentre 2,1 milioni sarebbero quelli occupati nelle grandi aziende, 1,1 milioni nelle piccole e medie imprese e 1,5 quelli delle micro-imprese.
PA, proroga dello smart working
Si diceva in apertura dello proroga dello smart working che al momento arriverà fino al 31 di luglio, ma, secondo alcuni indiscrezioni rilasciate dal Corriere della Sera, la deroga potrebbe andare anche oltre l’estate e dunque almeno fino alla fine di settembre. Tutto dipenderà dalle condizioni epidemiologiche e, soprattutto, dalla campagna vaccinale che proprio nei mesi estivi dovrebbe subire un’accelerazione, avvicinando così la popolazione all’immunità di gregge.
Oltre a questi aspetti è evidente che il rientro in presenza di tutti lavoratori comporterà per i datori la necessità di riorganizzare gli spazi per gestire al meglio la situazione post emergenza, ed ecco dunque che un ulteriore periodo di smart working potrebbe aiutare.
Smart working, le parole di Brunetta
Vista l’esperienza e le competenze raggiunte con lo smart working nel corso dell’ultimo anno sono in corso una serie di valutazioni da parte del ministero del Lavoro, Andrea Orlando, per prevedere una nuova regolamentazione della misura al fine di renderla applicabile anche nel post emergenza.
Sul tema si è espresso più volte anche il ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. Il titolare del dicastero della PA non ha del tutto escluso l’ipotesi di inserire lo smart working in maniera strutturale nell’operato della macchina pubblica, ma ha anche sottolineato come il suo mantenimento debba essere legato ad alcuni requisti.
Nel corso dell’audizione sulle linee programmatiche alle commissioni Lavoro e Affari costituzionali di Camera e Senato tenutasi lo scorso 9 marzo, Brunetta ha fortemente elogiato lo smart working sostenendo di pensare “tutto il bene possibile“, ma ha anche scoraggiato l’ipotesi che questo possa rappresentare “un toccasana per l’organizzazione del lavoro“. “La pandemia – ha precisato il ministro – ha permesso questo grande esperimento sociale sul lavoro agile e credo non vada buttata via questa esperienza, ma non va bene neanche iscritta in un meccanismo rigido normativo“.
Questa dunque la linea di pensiero del titolare del dicastero della Pubblica amministrazione che, in un’interivista a La Nazione, ha ribadito questo aspetto sottolineando come per esserci lo smart working nel pubblico impiego sia necessario rispettare tre imprescindibili variabili. “Senza imbrigliarlo in percentuali – ha affermato Brunetta – lo smart working dovrà restare uno strumento del lavoro pubblico e dovrà essere regolato dal contratto, per evitare ogni abuso a danno dei dipendenti“.
“La Pubblica amministrazione – ha proseguito l’esponente di spicco di Forza Italia – utilizzerà lo smart working solo se migliorerà l’organizzazione del lavoro, l’efficienza del lavoro e aumenterà la soddisfazione del cliente”.