(Adnkronos) – “La campagna del peperoncino calabrese quest’anno è andata bene, anche se la prima parte della stagione è stata segnata da una forte siccità, che ha portato a un calo di produzione. Quel che è certo è che il peperoncino non è stato toccato dalla crisi economica che ha toccato altri settori in Italia. Il peperoncino calabrese è infatti in continua crescita sia sui mercati italiani che su quelli europei. E oggi come Consorzio non abbiamo un grammo di peperoncino disponibile e invenduto in sede. E’ stato tutto prenotato e venduto. Resta un po’ di rammarico per le richieste che ci sono arrivate e non siamo riusciti a soddisfare ma è anche motivo di soddisfazione sapere che il nostro prodotto nonostante la concorrenza è ben apprezzato da chi lo conosce”. Così, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Pietro Serra, presidente del ‘Consorzio dei produttori del peperoncino di Calabria’, traccia un bilancio sulla stagione di produzione del consorzio che conta circa 50 associati che seguono un particolare disciplinare di produzione.
“Quest’anno – continua Serra – il nostro consorzio ha prodotto peperoncino su 47-48 ettari, sparsi su tutto il territorio regionale. Sembrano numeri piccoli, ma in realtà sono grandi numeri perché è un ortaggio periodico, il tutto si completa in 4 mesi. La produzione di peperoncino è impegnativa, si arriva a 10mila quintali annui. Questi sono i numeri delle nostre aziende consorziate”. Ma la produzione calabrese di peperoncino non si esaurisce qui. “C’è una grossa parte di aziende e di cittadini calabresi che lo producono in modo amatoriale. In Calabria tutti hanno una pianta di peperoncino”, sottolinea Serra.
Ma la strada per far crescere sempre più sui mercati il peperoncino calabrese passa dal riconoscimento dell’Igp. “Abbiamo chiesto come Consorzio il riconoscimento Igp. La pratica è stata presentata e inoltrata da Regione Calabria e Ministero a Bruxelles a novembre 2022, i tempi tecnici solitamente sono di 24 mesi”, ricorda il presidente del Consorzio che è stato sostenuto da Cia-agricoltori italiani in questa ‘partita’. E sul contrasto alla siccità che quest’anno ha colpito la coltura, sottolinea che “contro le calamità si può fare poco. Di certo non è vero che il peperoncino ha bisogno di caldo estremo, se si arriva a 40-45 gradi il peperoncino inizia a bloccarsi nella sua crescita. Quindi una prima cosa che si può fare è potenziare le linee idriche attraverso l’azione dei Consorzi di Bonifica”.
“Il peperoncino è un prodotto che va raccolto manualmente, non ci sono meccanizzazioni che possono sostituire l’uomo sulla raccolta e quindi un altro punto critico per il nostro comparto, più della siccità, è quello della manodopera, che in Italia sta venendo a mancare” è l’allarme di Pietro Serra. “Le aziende che fanno parte del nostro consorzio all’80% sono familiari, e soffrono tantissimo l’assenza di disponibilità a venire a lavorare nei campi”.
“Nel nostro settore c’è la concorrenza sleale – sottolinea ancora – a volte ci troviamo di fronte a delle polveri di peperoncino che arrivano sui nostri mercati dall’Asia e costano 5-6 euro al chilo quando invece in Calabria per produrre un chilogrammo di polvere di peperoncino piccante sono necessari 20 euro. Una concorrenza sleale che penalizza molto la nostra agricoltura e la nostra economia. E soprattutto mette a rischio la sicurezza alimentare e la qualità di ciò che mangiamo e che arriva sulle nostre tavole. In Europa e in Italia ci sono normative ferree sui prodotti mentre ciò che arriva dall’Asia non offre nessuna garanzia”.
“Il peperoncino in polvere – ribadisce Serra – che arriva dai Paesi asiatici o anche dall’Africa contiene al suo interno un colorante artificiale, il Sudan, che invece è bandito giustamente in Europa e in Italia. Sono prodotti senza garanzie igienico-sanitarie nei luoghi di produzione e che anche per questo possono beneficiare di un taglio di prezzo di 12-15 euro al chilo rispetto al nostro prodotto”, conclude amaro Serra.