(Adnkronos) – In un mondo del lavoro in cui la ricerca di significato è sempre più forte, la csr (corporate social responsibility) si rivela una leva di motivazione professionale (per il 63% delle persone a livello internazionale, per il 59% degli italiani) e fonte di fiducia per il futuro dell’azienda (71% internazionale, 67% Italia), ma le imprese sul tema hanno ancora molta strada da compiere in termini di engagement.
Come rileva l’International csr barometer di Cegos tra i principali player nel learning & development – condotto su 3.802 dipendenti – di cui 400 italiani – e 556 direttori o csr manager – tra cui 50 italiani, più di 8 dipendenti su 10 (l’82% in Italia) affermano che la csr è una sfida importante per l’organizzazione e il 77% riconosce l’impegno della propria azienda in materia, anche se il 45% dei dipendenti italiani (33% int.) e il 38% dei csr manager del nostro Paese (21% internazionale) lo considera un po’ ‘forzato’, in quanto principalmente in risposta a requisiti normativi, a una necessità economica o a una questione di attrattività.
Solo il 33% dei dipendenti a livello internazionale ritiene, inoltre, che questo commitment sia all’altezza delle principali sfide globali (cambiamento climatico, diversità e inclusione, efficienza energetica, ecc.) e più della metà di loro si aspetta che la propria azienda si impegni maggiormente per affrontarle.
Inoltre, sempre oltre la metà delle persone (e il 59% degli italiani) si attende coinvolgimento nelle riflessioni dell’azienda sulla csr, accesso agli indicatori che consentono l’attuazione delle politiche csr e una maggior formazione per spiegare la strategia dell’impresa in questo ambito. Soprattutto, per il 62% degli italiani (55% internazionale) la propria organizzazione dovrebbe sostenere i manager locali per aiutarli a incarnare e gestire meglio le questioni legate alla csr con i loro team.
“Le persone – commenta Paola Lazzarini, head of csr di Cegos Italia -sono ormai consapevoli delle grandi sfide che le aziende sono chiamate ad affrontare in termini di sviluppo sostenibile anche se spesso le iniziative corporate sono ancora insufficienti rispetto alle effettive opportunità. Coloro che si occupano di corporate social responsibility nelle organizzazioni spesso faticano a coinvolgere tutti i dirigenti e i dipendenti in un processo di cambiamento, che deve essere collettivo e che ha un impatto a livello di governance. Le persone si aspettano un sostegno concreto, a prescindere dalla mansione svolta, nel raggiungere una performance organizzativa responsabile”.
“A riguardo – spiega – la formazione è uno straordinario motore di mobilitazione e trasformazione. Agire sullo sviluppo delle competenze e sull’acquisizione di consapevolezza, contribuisce, infatti, a rafforzare motivazione e senso di appartenenza, leve strategiche di employee retention, cruciali per le persone in una nuova dimensione di work-life integration, nonché fondamentali per operare in maniera sostenibile e responsabile”.
La survey ha coinvolto 8 Paesi in Europa, Asia e America Latina – Francia, Germania, Italia, Spagna, Portogallo, UK, Brasile e Singapore – con rispondenti appartenenti al 40% a imprese medie (da 50 a 499 dipendenti), al 33% a grandi imprese (da 500 a 1999 dipendenti) e il 27% ad aziende oltre i 2000. L’obiettivo è stato quello di rilevare le azioni in atto, identificare gli stakeholder, capire le percezioni dei dipendenti e individuare le aree di miglioramento in cui lo sviluppo di competenze possa rendere più efficaci le politiche di csr.
Anche se in generale il 73% dei dipendenti dichiara di avere familiarità con il concetto di csr, il 46% non sa cosa significhi esattamente e il 41% degli italiani (37% internazionale) se esista un csr manager nella propria organizzazione. In Italia 4 aziende su 10 non hanno una figura dedicata.
Sebbene all’interno dell’impresa l’impegno dei dipendenti sia limitato; con più della metà di loro, infatti, che si aspetta ulteriori azioni e supporto per sentirsi più coinvolto, il 37% degli italiani dichiara di agire a livello personale (32% internazionale). Dipendenti e responsabili csr a livello internazionale concordano che il miglioramento delle prestazioni ambientali (rispettivamente 58% e 44%) e la qualità della vita sul lavoro (rispettivamente 55% e 49%) siano tra i principali benefici per le organizzazioni che si impegnano nella csr; i responsabili csr sottolineano anche l’effettivo miglioramento delle competenze (45% internazionale, 40% Italia) e una maggiore capacità di innovazione (41%); quelli italiani aggiungono il rafforzamento dell’orgoglio dei dipendenti di appartenere all’azienda (44%).
I lavoratori hanno una visione piuttosto severa del livello di commitment della propria azienda e lo valutano con un punteggio di 6,1 su 10, rispetto all’8,1 dei responsabili csr; il 48% degli italiani considera addirittura inefficaci le iniziative di csr attuate dalla propria organizzazione (38% internazionale).
Per oltre il 70% delle persone, sia a livello globale che nazionale, il proprio manager diretto non è impegnato sul tema. Anche se le aziende ‘possono e devono fare meglio’, il 57% dei dipendenti italiani riconosce l’impatto ‘significativo’ (51% a livello internazionale) dell’approccio alla csr dell’organizzazione sulla propria attività professionale quotidiana.
Dal canto loro, i csr manager sembrano incontrare numerose difficoltà nell’implementazione delle loro azioni, sia che si tratti di stabilire indicatori di monitoraggio, disporre di risorse finanziarie dedicate, conciliare obiettivi a breve e a lungo termine. Soprattutto gli italiani che hanno espresso valori al 40% per tutte le voci (rispetto a un 28% dei colleghi internazionali) e per l’assenza di un team dedicato (32% Italia, 26% internazionale); a seguire sono stati indicati i Kpi di valutazione dell’impatto delle azioni attuate (20% Italia, 28% internazionale).
I csr manager ritengono che le persone siano ben informate sull’approccio alla csr della loro azienda (8 di media), ma la sensazione è molto diversa tra i dipendenti (5,7). Si evidenzia un gap informativo anche sulle attività formative in materia csr: oltre l’80% dei responsabili afferma che la propria organizzazione offre formazione sull’argomento – mentre solo il 38% dei dipendenti (42% a livello Italia) dichiara di esserne a conoscenza.
Sebbene quasi 9 su 10 dichiarino di aver ricevuto formazione sulla csr negli ultimi tre anni, gli argomenti trattati sono ancora lontani dal business e dal settore: per uno su due è stato affrontato un unico aspetto della csr (48% internazionale, 52% Italia), per quasi uno su tre solo temi molto generali (30% internazionale, 28% Italia); solo il 7% ha seguito un corso su come integrare la csr nel proprio lavoro. Per migliorare l’efficacia delle policy csr, tre quarti dei lavoratori ritiene che l’organizzazione dovrebbe istituire corsi specifici per tutti i livelli, dal top management a ogni linea di business. In particolare, tutti i dipendenti desiderano una formazione su qualità della vita sul posto di lavoro (83%), salute e sicurezza (81%) oltre che su questioni ambientali (riduzione dell’impatto, normative) che sono anche gli ambiti ritenuti prioritari se la propria azienda dovesse impegnarsi di più nella csr.
“Nonostante il loro impatto – commenta Paola Lazzarini – i temi legati allo sviluppo sostenibile spesso non ricoprono ancora un posto centrale nei modelli di business e i manager hanno difficoltà a impegnarsi su questi temi. Tuttavia, per essere davvero innovativa e trasformativa, la csr non deve essere solo una questione per specialisti, dovrebbe invece coinvolgere gli stakeholder dell’organizzazione e i suoi dipendenti, specie i più giovani, molto sensibili al tema. Questa sarà la vera sfida negli anni a venire, soprattutto alla luce della posizione strategica che la responsabilità sociale sta progressivamente acquisendo a livello di governance aziendale”.