(Adnkronos) – “Le imprese determinate ad assumere non trovano sul mercato le competenze che cercano, nonostante gli oltre 500mila posti di lavoro in più registrati quest’anno. Si badi bene, il mismatch avviene a ogni livello. Un posto su due è vacante e in prevalenza riguarda figure tecnico-ingegneristiche e operai specializzati”. Così Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, nella sua relazione all’assemblea annuale della Federazione dei manager a Roma.
“Le cause prevalenti -spiega Cuzzilla- sono la ‘mancanza di candidati’ e la ‘preparazione inadeguata’. Per i manager, lo stesso: un’impresa su due fa fatica a trovare profili manageriali e, in tema di competenze, oltre il 75% dichiara di avere difficoltà a individuare le caratteristiche manageriali che valuta necessarie a gestire un processo, un’area o un cambiamento, come ha rilevato il nostro Osservatorio 4.Manager. Questo disallineamento è eloquente in questi anni di crisi cicliche: nell’industria in particolare la richiesta di manager è cresciuta come reazione alla pandemia, quando si è rivelato essenziale avere una leadership in grado di trasformare il business e l’organizzazione aziendale, garantire continuità e diversificare mercati o prodotti”, spiega Cuzzilla.
“Eppure, dagli anni ’80 agli anni Duemila, la probabilità -continua- che i lavoratori più giovani ricoprano posizioni manageriali è diminuita di due terzi, mentre è aumentata dell’87% tra i lavoratori più anziani”. E Cuzzilla ha parlato delle possibili soluzioni a questa criticità. “Proviamo, anche in questo caso, a proporre dei rimedi. Innanzitutto, dobbiamo riconoscere che il dilemma dello skill mismatch non lo abbiamo scoperto oggi e continuerà a tormentarci in futuro. Sarebbe miope additare il sistema dell’istruzione come unico ambito di disfunzione. C’entra molto il sistema di politiche attive del lavoro che non è mai decollato e che dovrebbe basarsi sul combinato di formazione mirata del lavoratore e di strumenti efficaci per l’incrocio tra domanda e offerta”, spiega.
“E c’entra molto -insiste- il tipo di lavoro che offriamo, perché se l’occupazione cresce in termini numerici dovremmo aspettarci una crescita corrispondente anche del nostro Pil, e così non avviene. Sarebbe saggio, poi, fare un po’ di autocritica e sostenere che bonus e voucher per le assunzioni non sono la panacea. Invece bisogna orientare al lavoro verso l’alto e verso il futuro, chiedersi se davvero abbiamo chiari i fabbisogni di competenza che riteniamo traditi e finanziare dei piani formativi corrispondenti”, continua. Secondo Cuzzilla “è vero, sono in atto delle trasformazioni epocali ma questo non ci solleva dalle nostre responsabilità. Bisogna ragionare sul lungo periodo, perché non si diventa competenti per nascita. Sforziamoci in questa impresa di immaginazione! Se falliremo, avremo compiuto una scelta migliore che far decidere ad altri, al mercato o al fato”.
“Il secondo rimedio -continua ancora- chiama in causa la demografia, quella mega minaccia di cui ho accennato all’inizio e che molto ha a che fare con la capacità di guardare in avanti. Nulla è così chiaramente descritto come la tendenza della nostra curva demografica che ci porterà al 2050 ad avere 7,6 milioni di ragazzi under 18, rispetto ai 9 milioni di oggi, vale a dire il 18% in meno. Con il calo delle nascite, per quella data avremo un rapporto tra individui in età lavorativa e restante popolazione di uno a uno, mentre oggi è di circa tre a due”, aggiunge.
“Quindi la cosa più importante da fare subito è riconoscere ai nostri giovani delle opportunità professionali coerenti con le loro aspirazioni e con le esigenze delle imprese. Quindi, dare il massimo supporto a chi decide di essere genitore, garantendo misure stabili e durature nel tempo, costi quel che costi. In particolare per le donne, la maternità non può significare un peso, costringere al lavoro part-time o peggio ancora risolversi con la rinuncia al lavoro”, conclude.