(Adnkronos) – “I contenuti pratici del decreto sono molto modesti: c’è qualche cosa di positivo e qualche cosa di negativo, ma in entrambi i casi in piccole dosi. In altre parole, la quantità del cambiamento effettivo è limitata. Decisamente insufficiente, invece, è il mio voto per quel che riguarda la chiarezza e la leggibilità del nuovo testo legislativo. O almeno della bozza datata 1° maggio, di cui dispongo: perché pare che neppure questa sia quella definitiva”. Così, con Adnkronos/Labitalia, il giuslavorista Pietro Ichino sul dl lavoro approvato dal governo nel corso del cdm dello scorso 1° maggio.
Il taglio del cuneo fiscale contenuto nel dl lavoro approvato dal governo “va nella direzione giusta dell’allineamento del cuneo italiano a quello degli altri maggiori Paesi della Ue e per questo va salutata positivamente; certo, questo il suo carattere ‘a termine’, non strutturale, rischia di ridurre molto l’impatto positivo della misura sull’occupazione e in particolare su quella stabile. Dobbiamo sperare che nella Finanziaria di fine anno si trovino i fondi per rendere la misura strutturale”, spiega ancora Ichino.
E per Ichino nell’intervento sui contratti a termine contenuto nel dl Lavoro “francamente, non vedo né una semplificazione né un cambiamento sostanziale, in un senso o nell’altro. Viene conservata la disciplina attuale, che consente l’assunzione a termine senza ‘causale’ per un massimo di 12 mesi; si prevede che la determinazione delle ‘causali’ per una maggiore durata del rapporto a termine sia affidata ai contratti collettivi, i quali dovrebbero provvedere entro la fine del 2024, ma per la maggior parte dei contratti questo probabilmente non avverrà. E in attesa che essi vengano stipulati si ripropone il vincolo delle ‘esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva’, cioè il cosiddetto ‘causalone’ del decreto n. 368/del 2001, che allora produsse solo un gonfiamento del contenzioso giudiziale”.
Nell’intervento sul reddito di cittadinanza contenuto nel dl Lavoro approvato dal governo “vedo positivamente il fatto che il godimento del beneficio da parte degli ‘occupabili’ viene condizionato alla frequenza di un corso di formazione. Osservo però che nel decreto la nozione di ‘occupabile’ resta avvolta nella nebbia; esso inoltre non dedica una parola al controllo circa la qualità ed efficacia dei corsi di formazione che i beneficiari dovrebbero frequentare: quell’anagrafe della formazione e quel monitoraggio capillare che il Jobs Act aveva previsto, ma che sono rimasti lettera morta. Restano così irrisolti i due nodi cruciali che avrebbero dovuto essere affrontati”, conclude il giuslavorista.