(Adnkronos) – Una maggiore formazione, da estendere anche ai datori di lavoro, un sistema più severo di sospensione delle attività, pene rafforzate per chi assume lavoratori in nero senza pensare alla propria salvaguardia. Le modifiche al decreto legislativo 81 del 2008, che detta le regole per prevenire incidenti sui luoghi di lavoro, suggeriscono un cambio di paradigma per le aziende. Parola di Bruno Ranellucci, Ceo di Tutor consulting, una delle più importanti società di consulenza sul delicato tema della sicurezza.
“Serve – spiega – un nuovo approccio culturale. É giunto il momento che gli imprenditori non considerino più le spese per adeguarsi alle norme in matteria come un costo ma viceversa come un investimento. Dico questo non soltanto per la giusta protezione dei propri dipendenti o per le multe salate che possono arrivare ma anche per l’immagine della stessa impresa di cui si è rappresentanti. Sono certo che, a breve, nel qualificare una qualsiasi attività produttiva sarà introdotto un rating legato proprio al tema della sicurezza e sono altrettanto certo che questo rating verrà valutato per partecipare a bandi di gara o per ricevere un finanziamento, sia esso pubblico che privato”.
La ripresa serrata delle attività, per effetto del rallentamento della pandemia e dei fondi del Pnrr, ha prodotto un aumento degli incidenti sui luoghi di lavoro: “Sono diminuiti quelli mortali -spiega Ranellucci- ma il numero, visto nella sua completezza, è comunque in crescita. Una tendenza confermata dai dati appena diffusi dall’Inail per il 2021. Dalla nostra esperienza e dai report delle più importanti istituzioni nazionali e internazionali, emergono alcuni aspetti che vanno valutati e presi in considerazione per una corretta gestione del rischio. Il maggior numero di incidenti, siano essi mortali o non, accadono il lunedì mattina e il venerdì pomeriggio o, comunque, nei prefestivi. Aspetto, questo, intuitivo, si abbassa la soglia di attenzione, ma elemento da non trascurare quando si studiano piani volti alla prevenzione su questo tema cruciale per un’azienda”.
Altro fattore importante sul fronte valutativo è offerto da uno studio della Bbs (Behavior Based Safety), un protocollo nato negli States al fine di aumentare i comportamenti virtuosi e quindi di ridurre gli infortuni: “Questa ricerca -afferma Ranellucci- viene confermata dal lavoro che svolgiamo ogni giorno: la maggior parte degli incidenti mortali che capitano sui luoghi di lavoro è provocata da comportamenti errati di chi manovra i macchinari”.
Una percentuale molto alta, che si aggira attorno all’80%: “Quando c’è un decesso -dice ancora Ranellucci- l’Inail attiva un’indagine secondo un modello statistico sviluppato dallo stesso Ente che si chiama Informo. Questo modello raggruppa i fattori che determinano gli infortuni mortali nelle seguenti categorie: ambiente, attività dell’infortunato, attività di terzi, materiali, utensili, macchine, apparecchiature, impianti e attrezzature e dispositivi di protezione individuale. L’esito delle rilevazioni è sempre lo stesso: le azioni poste in essere dal lavoratore si confermano il fattore di rischio principale. Non vale l’idea che un comportamento a rischio ripetuto nel tempo dia, diciamo così, una sorta di immunità. Un comportamento sbagliato e non in linea con i protocolli resta tale e il fatto che non abbia mai dato problemi non vuol dire nulla. Questi dati, che possono sembrare incredibili, confermano invece l’idea che la formazione continua, con tanto di aggiornamenti, sia l’unica vera strada percorribile, per i lavoratori ma anche per gli imprenditori. Servirebbe insomma un patto di consapevolezza che coinvolga tutti i soggetti interessati”.
Formazione, dunque, necessaria e imprescindibile per modificare i comportamenti e per rendere davvero sicuro un luogo di lavoro: “Gli imprenditori -aggiunge Ranellucci- devono, dunque, fare la propria parte, in collaborazione con i sindacati e i propri dipendenti, ma è anche giunto il momento di dire con forza che lo Stato non può limitarsi a delegare, deve anch’esso mettersi in gioco. Le aziende, soprattutto quelle piccole o le cosiddette start up, hanno costi elevatissimi per nascere. E, quando hai spese importanti da affrontare, sacrifichi quello che, sbagliando, pensi, per ignoranza o per mancata conoscenza della materia, superfluo. Per questo, penso che la sicurezza sia importante come l’informatizzazione e allora non capisco perché non si preveda un contributo pubblico per attivare appunto la formazione. Un gettone salva vita che leverebbe ogni dubbio agli imprenditori, i quali, se informati, riescono ad attivare quella rivoluzione culturale oggi non più rinviabile. Svolgiamo attività di coaching da decenni e abbiamo imparato che informazione e costi limitati sono la formula magica per limitare un fenomeno, quello degli incidenti sui luoghi di lavoro, che qualificano la civiltà di un Paese”.