(Adnkronos) – “Risorse, 3,5 miliardi, sprecate per ragioni politiche, in generale; un mistero per quanto riguarda le misure che andranno a sostituire l’ape sociale e opzione donna. Demagogico l’intervento sulle pensioni minime in parallelo con gli interventi sul fisco. In ambedue i casi vengono premiati chi ha lavorato poco e gli evasori”. Così Giuliano Cazzola, già senatore del Pdl ed esperto di previdenza e mercato del lavoro, commenta, con Adnkronos/Labitalia, le misure previste dal governo in manovra economica sulle pensioni.
“Verrà pure un giorno -continua Cazzola- in cui, fuor di retorica, si confronteranno tre insiemi: la struttura dei contribuenti al fisco, l’evasione fiscale e la soglia della povertà. il 12,99% della popolazione paga il 59,95%; mentre il restante 87% paga il 40%; oppure potremmo dire che il 41,95% paga il 91,81% mentre il 44,53% dei contribuenti paga solo l’1,92% dell’intera Irpef”.
Secondo Cazzola “è più che evidente che questa non può essere la fotografia di uno tra gli 8 Paesi più sviluppati, tanto più se consideriamo i consumi e gli stili di vita. Eppure, da alcuni anni a questa parte i Governi, compreso l’attuale, hanno definito per legge la ‘soglia del benessere’ al di sopra di un reddito lordo di 35mila euro (5 milioni di contribuenti che pagano il 56% dell’Irpef e che sono esclusi dai benefici che contribuiscono a finanziare”, spiega.
E sul sistema delle quote per andare in pensione Cazzola sottolinea che “non so se gli inventori ne siano consapevoli, ma le quote sono una trappola perché i due requisiti (quello anagrafico e quello contributivo) sono rigidi e devono concorrere entrambi. L’esperienza dal 2019 in poi ha reso evidente che è molto difficile maturare nello stesso tempo i due requisiti, per cui è successo che la grande maggioranza si è trovata ad averne uno, magari quello dell’età, ma non quello richiesto per l’ammontare dei contributi o viceversa. E’ ovvio però che quando si aspetta di maturare uno dei due requisiti rimanendo al lavoro, aumenta anche l’altro. Con quota 100 la maggioranza degli utenti aveva 64 anni o più di 38 anni di contributi. Quota 103 poi è stata ancora più svantaggiosa perché da un anno all’altro il requisito contributivo è passato da 38 a 41 anni”, rimarca ancora.
“Per rendere omaggio ad un feticcio di Salvini (si accontenti di giocarlo al lotto il numero 41!) si è creata una situazione per cui i nuovi pensionati di anzianità hanno trovato più vantaggioso andare in quiescenza coi requisiti ordinari (42 anni e 10 mesi per gli uomini ed un anno in meno per le donne a prescindere dall’età) perché grazie all’anzianità di servizio accumulata potevano varcare l’agognata soglia ad un’età inferiore di quella indicata nelle quote”, sottolinea Cazzola.
E secondo Cazzola una riforma del sistema pensionistico non potrà “certamente” essere strutturata “come propongono i sindacati che vogliono rendere permanente una impostazione destinata a morire insieme all’ultimo baby boomer che andrà in pensione. Fare dei 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica il perno di un sistema riformato sarebbe una misura troppo generosa per chi andrà in pensione dei prossimi anni, ma punitiva per i pensionati di domani che per il loro condizioni di ingresso e di permanenza nel mercato del lavoro non sarebbero mai in grado di maturare anzianità contributive importanti. Mentre, tenuto conto degli andamenti demografici, non avrebbero particolari problemi a lavorare più a lungo per ottenere una pensioni migliore”, spiega ancora.
“Al di là di immaginare scenari roboanti tra poco avremo due grandi problemi da risolvere. Il governo giallo verde ha bloccato fino a tutto il 2026 l’adeguamento automatico dei requisiti anagrafici e contributivi all’incremento dell’attesa di vita. Introdotto dal governo Berlusconi, confermata con modifiche dalla riforma Fornero questa norma garantiva la maggior parte del risparmio attribuito alla riforma Fornero. E’ questo il nodo da sciogliere tra qualche anno”, aggiunge Cazzola.
E sulle polemiche relative al mancato intervento strutturale sul cuneo fiscale Cazzola sottolinea che “non ci sono le condizioni per un intervento strutturale”. “E non ne valeva neppure la pena di riversare risorse importanti per un futuro prossimo, quando in tanti casi anche per ragioni di copertura si va avanti di anno in anno. Poi il cuneo non è un incidente della storia ma corrisponde a quanto serve per finanziare i diritti sociali. Non lo si taglia come un salame, ma con tutta la cautela che è necessaria. Certo è nelle cose della vita che un beneficio venga confermato”, conclude.