(Adnkronos) – Sono 793 i Comuni coinvolti dalle elezioni amministrative italiane. Sommando sia quelli residenti nelle Regioni a Statuto ordinario, che andranno alle urne tra il 14 e il 15 maggio, quelli friulani che hanno già espresso la propria preferenza, e quelli trentini, valdostani, sardi e siciliani per i quali le consultazioni elettorali si svolgeranno tra il 21 e il 29 maggio, complessivamente andranno alle urne oltre 6 milioni e 300mila italiani. Gli enti interessati dalla imminente tornata elettorale sono prevalentemente di piccole dimensioni: l’86% di questi Comuni conta, infatti, meno di 15mila abitanti. Solo 110 gli enti al di sopra di questa soglia e 18 i Comuni capoluogo. Con 128 enti coinvolti, è la Sicilia la Regione con il più alto numero di comuni al voto.
“Difficile prevedere quale tipo di classe dirigente sarà nominata nel corso di questa tornata elettorale. Sicuramente l’auspicio è che si vada verso una presenza più massiccia di amministratrici di quella attuale”, sostiene Centro Studi Enti Locali (Csel), che in una elaborazione per Adnkronos, basata su dati del Viminale relativi ai sindaci in carica (aggiornata al 1° aprile 2023), ha messo in evidenza che è uomo ben l’85% di coloro che indossano attualmente la fascia da primo cittadino. Le sindache sono, quindi, meno di due su 10.
Una situazione trasversale e generalizzata che non lascia fuori alcuna regione. Se è vero che la percentuale di uomini più alta si ha in Campania (95% uomini), non ci sono realtà che si avvicinino a una equità nella rappresentatività uomo-donna. La regione con più sindache in assoluto è il Friuli Venezia Giulia, ma la forbice non è così ampia rispetto ai ‘peggiori della classe’: le donne al potere nei Comuni friulani sono il 22% del totale. In mezzo, Emilia Romagna (21%), Valle d’Aosta (19%), Veneto, Toscana, Piemonte e Lombardia (tutti a quota 18% di sindache), Umbria (17%), Marche, Molise e Trentino (tutti e tre fermi a quota 16%) e Abruzzo (15%). E, ancora, Sardegna e Liguria hanno il 14% di donne alla guida dei propri Comuni. Nel Lazio la percentuale scende al 13%, in Basilicata all’11% e in Puglia al 10%. Al di sotto del 10% – oltre alla già menzionata Campania – le sindache in carica in Calabria (9%) e Sicilia (7%).
Ma qual è l’età media dei sindaci attualmente in carica? La fascia d’età più rappresentata tra coloro che attualmente svolgono il ruolo di primo cittadino è quella compresa tra 51 a 70 anni (54%). Seguono coloro che hanno tra 31 e 50 anni (36%) e quelli che hanno tra 71 e 80 (8%). Scarsissima la rappresentanza tra i sindaci sia degli over 80 (0,5%) che dei ragazzi con meno di 30 anni, che sono lo 0,7% del totale.
In termini di generazioni culturali, il grosso dei primi cittadini italiani appartiene alla Generazione X, etichetta che ricomprende i nati tra il 1965 e il 1980 (47%). Molti anche i cosiddetti boomers (nati tra il 1946 e il 1969), che rappresentano il 37% del totale. La quota di Millennial (nati tra il 1981 e il 1994) è ferma al 14%, mentre i rappresentati della ‘generazione silenziosa’ (nati tra il 1928 e il 1945) è rappresentata da solo l’1% dei sindaci italiani. Inferiore all’1% la percentuale degli esponenti della Generazione Z (nati tra il 1995 e il 2012), incarnata solo da ventisette primi cittadini nell’intero Paese.
Quanto ai titoli di studio, sono in possesso di una laurea 47 sindaci su 100. Il 45% ha conseguito una laurea specialistica, l’1,9% una laurea solo triennale, lo 0,2% ha anche altri titoli post laurea e lo 0,8% ha una specializzazione post laurea o un dottorato di ricerca. Oltre la metà dei primi cittadini italiani non è andata oltre il liceo. Nello specifico, è diplomato il 42% dei sindaci attualmente in carica. Gli altri (eccezion fatta per uno 0,2% che dichiara come titolo di studio la licenza elementare) hanno interrotto gli studi dopo le scuole medie.