(Adnkronos) – “Ci stiamo dedicando alla memoria di nostro padre. Questo è un libro molto personale, che darà una immagine diversa da quella stereotipata di nostro padre”. A dirlo è Stefano Andreotti, figlio di Giulio e curatore con la sorella Serena del libro ‘Cara Liviuccia’, presentato da Giuseppe De Rita, Gianni Letta e Barbara Palombelli.
Si tratta di una raccolta di lettere di Andreotti alla moglie Livia scritte nei mesi estivi in un periodo che va dal ’46 al ’70. Lettere in cui il leader Dc, più volte premier, si rivolge alla moglie con espressioni come ‘ciao ostrica’, ‘cara mogliettina’, ‘caro scoglio’ e la saluta con un ‘ti bacio con affetto più alto delle piramidi’.
“Un libro che riporta alla Roma del dopoguerra, in cui la sera dopo cena si passeggiava e in cui la dimensione del mangiare era importantissima -ha spiegato De Rita, che ha firmato la prefazione del libro-. E infatti nel libro c’è un menù infinito, ‘oggi ho mangiato questo e quello’. Ma noi eravamo ex morti di fame, quella era una classe dirigente che si rifugiava dal suo mondo”.
(Adnkronos) – De Rita ha raccontato ancora: “Andreotti è un romano del dopoguerra. Gli piacevano i cavalli, gli piaceva giocare ai cavalli, i gialli, aveva scoperto la birra, usava la Prep. Quando De Gasperi viene punto da una zanzara Andreotti lo cura con la Prep. Nelle lettere ho sentito la fame, la voglia di vivere e crescere. Un mondo in parte disordinato in parte controllato che è stato un bel mondo, molto sano”.
Per la Palombelli “Andreotti aveva la passione delle persone. Oggi tutti si interrogano su come ritrovare il rapporto con le persone, la politica è diventata una vetrina. Ma la politica vera è quella della agenda Andreotti: quanti funerali sono raccontati nelle lettere! Conosceva tantissime persone e diceva, ricevo prima il sindaco di Fiuggi che l’ambasciatore americano. Giulio e Livia si erano conosciuti e amati in un momento di guerra, ragazzini coraggiosi erano stati parte di una comune resistenza molto romana”.
Letta ha parlato di “un personaggio straordinario anche nella dimensione più semplice. Bollato come minimalismo andreottiano, il suo modo di essere era diventato un difetto. Questo libro fa giustizia di questo aspetto. Rivela un Andreotti inedito, intero e vero. La dimensione pubblica non era la sola che poteva spiegare un personaggio complesso come Andreotti. Quell’Andreotti non era vero. Nelle lettere c’è la dimensione pubblica e quella privata. Ecco chi era Andreotti. Non può essere Belzebù, non è Belzebù. Questo libro fa giustizia di schiere di giornali. Andreotti, nei pregi e nei difetti, è quello che traspare dalla interezza della sua personalità”.