(Adnkronos) – “Il virus dell’epatite Delta è tra i più piccoli virus che possono infettare uomini e le donne. Tuttavia, è altamente pericoloso. E’ un ‘virus satellite’, perché ha bisogno di prendere in prestito una parte del virus dell’epatite B per formare la propria particella virale. In Italia si stimano 6.000-10.000 pazienti con Hdv, anche se non tutti i pazienti con epatite B hanno un test per la Delta. Una cosa è sicura: fino a poco tempo fa per questi pazienti l’interferone alfa era l’unico trattamento che avevamo a disposizione, ma presentava molte limitazioni, problemi di tossicità, controindicazioni e l’efficacia è modesta. Invece l’avvento di bulevirtide rappresenta una svolta importante per i nostri pazienti, perché finalmente abbiamo un’opzione terapeutica, un farmaco antivirale che blocca l’ingresso del virus all’interno del fegato”. Così all’Adnkronos Salute Anna Maria Geretti, specialista in Malattie infettive e Chirurgia del Policlinico Tor Vergata di Roma, durante i lavori del simposio ‘Innovazione nel trattamento dell’Hdv, la meno conosciuta, ma la più aggressiva tra le epatiti virali’, che si è tenuto con il contributo non condizionante di Gilead in occasione del 44esimo Congresso della Società italiana farmacia ospedaliera (Sifo) a Roma.
“I dati utilizzati dall’Ema (Agenzia europea per i medicinali) e dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) per il via libera all’approvazione e al rimborso del primo trattamento dell’epatite Delta cronica, l’antivirale bulevirtide – sottolinea Geretti – sono i risultati di uno studio di fase 3 con il quale abbiamo visto un’analisi a 96 settimane che ha mostrato buone risposte sia dal punto di vista virologico, quindi controllo della replicazione virale, che dal punto di vista clinico dell’infiammazione epatica, con una riduzione delle transaminasi”.
“Il 55% dei pazienti – rimarca l’esperta – mostra una risposta dopo 96 settimane, però pensiamo che le risposte continueranno ad aumentare con la durata del trattamento, quindi aspettiamo naturalmente molti altri dati. Gli studi vanno avanti e nel frattempo abbiamo comunque un’opzione terapeutica valida. Vedremo se è una opzione curativa, oppure se si tratta di un trattamento di tipo cronico che deve essere quindi continuato nel tempo per tenere sotto controllo la malattia”. L’infezione, ricorda Geretti, si trasmette “soprattutto attraverso l’esposizione al sangue infetto e con rapporti sessuali non protetti”.