(Adnkronos) – “La tempesta che infuria da una settimana ai confini di Israele contiene in miniatura il dilemma e forse anche il destino dell’occidente. Infatti, se combatte mette a repentaglio la sua anima, se tratta svela la sua fragilità. La sua virtù era racchiusa nella combinazione tra questi due compiti che si era assegnato. E cioè nel fatto di poter disporre della più forte deterrenza strategica e della più acuta sensibilità politica. Due circostanze che ora vengono simbolicamente messe in questione, l’una e l’altra.
Naturalmente l’occidente è molto più di un continente e racchiude in sé una quantità di situazioni e di sensibilità che non andrebbero confuse tra loro. Semmai è proprio la varietà che lo unisce e lo caratterizza. Le grandi democrazie liberali infatti non sono così uniformi come le dittature. E la loro disciplina è ben diversa dalla militarizzazione estrema e spietata dei gruppi terroristici. Capita però che in certi frangenti si chieda a questa parte di mondo qual è la sua identità, il suo carattere, la sua risposta alla sfida che lo prende di mira. E noi, Israele, l’Europa, gli Stati Uniti, ognuno con le sue peculiarità, siamo chiamati a quel punto a scegliere una linea. Una e una sola, a dispetto di tutte le sfumature che ci attraversano e ci tormentano.
Togliamo di mezzo l’equivoco (o la pretesa) che vi sia una civiltà superiore. Nel mondo attuale una simile supremazia non si può dichiarare e non si può accettare. E se ancora esiste, questo retaggio faremmo bene a toglierlo di mezzo senza ambiguità. Lo dicemmo all’indomani dell’11 settembre americano e lo ripetiamo tale e quale a una settimana dall’11 settembre israeliano. Semmai esiste invece una “inciviltà”, questa sì, che si nutre di una visione distorta e inaccettabile e si incarna in una barbarie che nessun paese degno del nome può trattare con la benché minima indulgenza.
Detto questo, c’è però un problema gigantesco, che le gesta di Hamas hanno fatto detonare nei modi che abbiamo appena visto alla frontiera di Gaza. Ed è che una larga parte di mondo (non la sola Hamas) ci odia. Per alcuni quell’odio si traduce nella violenza più efferata. Per altri resta sullo sfondo, riempie l’immaginazione di sospetti, ma non si traduce -non ancora- in qualcosa di più ravvicinato e minaccioso. Dietro questi risentimenti, è ovvio, ci sono molte e contrastanti motivazioni. Mettendole insieme, però, si intuisce che è proprio il nostro modello di vita e di società ad essere diventato oggetto di un diffuso vituperio. Ingiusto, ingiustissimo. Ma diffuso, appunto.
Questo sentimento politico anti-occidentale sembra peraltro racchiudere in sé una contraddizione. Infatti, per un verso siamo visti come troppo forti, e messi sotto accusa per via del nostro primato economico, tecnologico, militare. Ma per un altro verso siamo visti invece come un insieme di paesi che si vanno via via indebolendo e infragilendo e che dunque ora possono essere sfidati, colpiti, perfino dileggiati come mai sarebbe potuto succedere appena qualche anno fa.
Per quanto opposte l’una all’altra, queste due critiche finiscono per alimentarsi a vicenda e ci costringono a trovare nuove strade per affermare la nostra idea di un ordine internazionale basato su di un principio di pacifica e ordinata convivenza. Quel principio che resta appunto la ragione fondamentale per aiutare l’Ucraina da un anno e mezzo a questa parte e per sostenere Israele tanto più in questi giorni così drammatici.
Il fatto è che in questo contesto anche noi siamo chiamati a una sorta di duplicazione di noi stessi. Evitando da un lato di farci trascinare sul terreno di una contesa ferina, che troppo facilmente diventa feroce; e dall’altro però evitando anche di rinchiuderci nell’illusione irenica di un mondo reso pacifico a prezzo della nostra resa. Temi che implicano un’infinità di complicazioni, ovviamente. E anche un’infinità di interpretazioni di noi stessi.
Siamo anche interiormente, ognuno di noi, divisi sul da farsi, attraversati dalle contraddizioni che il nostro dibattito pubblico ci propone tutti i giorni. In bilico tra una ragione che ci chiede prudenza e un’emozione che ci suscita insieme rabbia e paura. Eppure avremo bisogno di tutto. Della lungimiranza che serve a capire che non siamo più l’unità di misura del mondo. E della determinazione che serve però a far capire a tutti che non alzeremo mai la bandiera della rassegnazione al cospetto del male”. (di Marco Follini)