(Adnkronos) – In Iran “il regime cadrà”, ormai non è più questione di se, ma di quando, “meglio prima che dopo”. La fase attuale è quella di una “sfida non violenta al regime finché non collasserà”, alla quale seguirà “un governo di transizione” in cui Reza Pahlavi è pronto a svolgere “un ruolo di coordinamento del processo che porterà a una democrazia futura”, ma “in modo totalmente neutro”. Erede dello Scià di Persia deposto 44 anni fa dal regime degli Ayatollah ed esiliato in Occidente da quando aveva 17 anni, in un’intervista all’Adnkronos parla di un ruolo che “non sia istituzionale, politico, né monarchico”, ma di ”coordinamento con gli attivisti dentro e fuori l’Iran per colmare il vuoto che si verrà a creare” e che porterà a un nuovo Iran. Paese nel quale, ”per avere un futuro democratico garantito”, ci deve essere ”la separazione tra governo e religione, che è alla base di tutte le democrazie, dal Giappone al Canada”.
Il principe ereditario si dice pronto a scendere in campo ricordando, anche, che ”il mio ruolo è ora”, che ”i giovani mi vedono come una figura in grado di creare unità nazionale”. Arrivato in Italia per quella che è la sua prima visita ufficiale, Reza Pahlavi sostiene che “il modo più rapido per far cadere il regime sia attraverso uno sciopero generale prolungato” che “è quello che stiamo cominciando a vedere proprio in questi giorni”.
Raccontando di essere stato alla Conferenza di Munich sulla sicurezza, “la prima dove non era stato invitato nessun rappresentante del regime”, il principe ereditario afferma che ora “il mio ruolo è comunicare” e svolgere un “ruolo di coordinamento tra le organizzazioni dell’opposizione dentro e fuori l’Iran” per capire come far cadere il regime, ma anche “collaborare con giuristi, legali, economisti e imprenditori per organizzare la fase di transizione, i primi 100 giorni che saranno molto importanti” dopo la caduta del regime, pensando anche a “una road map economica”. Perché “va bene una politica di massima pressione con le sanzioni economiche”, ma “occorre avere anche una policy di massimo sostegno”.
Quello che il regime di Teheran vuole fare, sostiene Pahlavi, è “isolare l’Iran come la Corea del Nord” per cui sarebbe “strategico per gli attivisti avere l’accesso a Internet che non hanno, in modo che possano comunicare con il resto del mondo”.
In quest’ottica è ”molto importante”, spiega, che ”la rivoluzione lanciata dalle donne abbia portato a un cambiamento nei rapporti tra l’opposizione laica democratica e l’Occidente” che finalmente ha capito che ”non si può trovare una soluzione se si parla con chi è parte del problema”. Oggi in Iran c’è “la generazione Mahsa”, che quando ”guarda al mondo libero all’estero, sa quello che vuole e che il regime nega”. Si tratta di ”giovani iraniani che non hanno paura di rischiare la vita, di farsi arrestare, di farsi sparare negli occhi” pallini di metallo dalla polizia di Teheran. Giovani che ”a differenza di quando io ero adolescente, che rispettavamo le persone molto osservanti come era mia nonna, non ne possono più di una religione che impedisce loro di essere liberi”. Sono quindi “tanti quelli che adesso si stanno convertendo al cristianesimo”, anche se in Iran “rischiano per questo la pena di morte”. Ma “non hanno paura di farsi vedere con la croce al collo, la tengono anche quando vengono impiccati”.
Eppure “negli ultimi 44 anni i più grandi problemi che abbiamo avuto come opposizione al regime sono dipesi dal fatto che molti Paesi in Occidente hanno dialogato solo con i rappresentanti del regime e c’era molto poco spazio per una comunicazione formale con l’opposizione laica e democratica”. Ma “nell’ultimo anno e mezzo abbiamo visto l’inizio di un cambiamento di visuale del mondo occidentale rispetto al regime dell’Iran, con il quale diminuivano i contatti e dove vedevano la repressione” dilagare. Una “repressione sistematica messa in atto dal regime islamico” e che porta a “ingiustizie, discriminazioni” che riguardano chiunque non sia in linea con gli Ayatollah, sottolinea il principe citando “donne, ma anche la comunità Lgbtq, le minoranze religiose, gli ebrei, i cristiani, i bahai, anche i musulmani sunniti”.
La crescente collaborazione tra l’Iran e la Russia altro non è, secondo Pahlavi, che ”l’ultima carta della partita a poker” giocata dal regime di Teheran, che mostra così ”tutta la sua debolezza e disperazione”, è “l’ultimo respiro cercando di restare forte”, fornendo alle forze armate di Mosca ”i droni da usare contro gli ucraini. Tuttavia, ammonisce l’erede dello Scià di Persia, il regime iraniano “potrebbe essere vicino alla costruzione di armi nucleari. Quando questo avverrà, non è dato sapere”, ma “gli esperti hanno visto che è stato raggiunto un livello di arricchimento dell’uranio in grado di realizzare armi”.
Ma ”l’elemento più pericoloso”, sottolinea, è che questo materiale nucleare è ”in mano a un regime come quello iraniano” che, ad esempio, ”minaccia l’esistenza di Israele” dove Pahlavi è stato la scorsa settimana. Ma ”il nucleare non deve diventare una distrazione” da quello che è l’essenza del problema, il regime, e della soluzione, la sua caduta. Perché con ”la caduta del regime cadrebbero nell’immediato una serie di problemi, come il conflitto tra sunniti e sciiti, quello appunto di Israele che non dovrebbe preoccuparsi di un Paese che lo vuole cancellare”.
Quindi l’erede dello Scià lancia un appello alle imprese italiane che operano in Iran, perché si ritirino dal Paese, e alla società civile, perché faccia pressione sul settore privato boicottando quelle aziende attive nella Repubblica islamica. ”Non vogliamo armi, non vogliamo un intervento militare” che porti al rovesciamento del regime, ”ma solidarietà alla popolazione che scende in piazza disarmata, che opera azioni di disobbedienza civile”.
”Le imprese italiane ora presenti nel Paese indirettamente finanziano il terrorismo, sostengono la corruzione e sì, avranno pure qualche profitto, ma dopo la caduta del regime ne avranno molti di più, 20 volte di più”, afferma il principe in un’intervista. ”Le aziende italiane devono capire che non fanno il bene della popolazione iraniana, perché con la loro presenza portano solo più soldi al regime che opprime sempre di più i suoi cittadini e contribuiscono a distruggere la società iraniana”, prosegue il figlio dello Scià di Persia. Per convincerle, Pahlavi rivolge anche un appello alla società civile. ”Il governo non può fare pressione sul settore privato, ma l’italiano medio che ha simpatia all’Iran sì, la società civile italiana sì”, ad esempio boicottando i prodotti delle aziende che operano in Iran.
Un ricordo va al regime di Ahmadinejad, alla rivoluzione verde, quando ”aziende europee fornivano strumenti di controllo che il regime utilizzava per spiare i cittadini”, gli oppositori, i manifestanti. ”Fino a che punto si può giustificare moralmente?”, si chiede Pahlavi che afferma ”vogliamo che le aziende italiane facciano investimenti futuri” in Iran. Nessuna impresa italiana viene citata, ma il principe ricorda che l’Italia ”è uno dei Paesi dell’Unione europea che ha maggiori rapporti con il regime iraniano”.