(Adnkronos) – “Sono letteralmente devastato da questa guerra, ma non voglio fare il tifo né per l’uno né per l’altro”. E’ quanto ‘confessa’ alla AdnKronos l’attore Alessandro Haber, padre ebreo e madre cattolica, intervistato sul conflitto scoppiato fra Gaza e Israele dopo il lancio di missili e le azioni contro civili inermi, anche neonati, perpetrate da Hamas e la reazione “mai vista in passato” annunciata e ordinata dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.
“Certo che gruppi come Hamas o Hezbollah, Isis o Al Qaeda, sono bande terroristiche formate da gente che non ha minimamente il senso della vita – sottolinea Haber -. Il popolo ebraico ha convissuto difficilmente con il popolo palestinese, per le ragioni che tutti sappiamo, però la gente riusciva a convivere più o meno serenamente nella vita quotidiana. Questa azione è come fare harakiri: non può avere nessuna giustificazione, perché era scontato che dopo l’azione di Hamas scattasse la vendetta di Netanyahu: si sapeva, si sa da sempre…”.
Osserva Haber: “Ma è la guerra in sé che è deleteria, ovunque scoppi, in Medio Oriente o in Ucraina, in Sud America o in Africa. E’ per questo motivo che io dico sempre che non faccio il tifo per nessuno, tifo solo per la pace, in tutto il mondo. E non mettessero in ballo la religione, perché la fede insegna altre cose, non insegna a uccidere l’altro fratello”. Come ricorda spesso Papa Francesco, uccidere in nome di Dio è la più grande bestemmia che si possa pronunciare… “Ed ha perfettamente ragione: non esiste il Dio del male, è l’uomo che ha dentro di sé l’animo maligno, al di là degli interessi geo-politici ed economico-finanziari che ci sono sempre dietro tutte le guerre”.
Ma cosa è rimasto di ‘ebraico’ nel pensiero e nell’animo di Alessandro Haber? “Per gli ebrei, la fede si eredita dalla madre e io invece ho avuto il padre ebreo”, premette l’attore.
“Sono nato a Bologna quasi in contemporanea con la nascita dello Stato di Israele e ho vissuto praticamente lì tutta la mia infanzia, felicissima, per quasi dieci anni assieme a ebrei, arabi, europei, islamici, cattolici. Poi ci sono tornato una quindicina di anni fa, a Tel Aviv, ma dopo pochi giorni sono scappato via perché non volevo rovinare e bei ricordi della mia fanciullezza, visti con occhi di ragazzo; gli occhi dell’adulto vedono cose diverse… Sicuramente, è rimasta in me, forse in modo naturale, quella sottile autoironia ‘alla Woody Allen’, quel sapersi e volersi prendersi in giro, tipico della cultura ebraica”.
“Sono molto teso, ho l’ansia, come sempre da anni e anni… Ma meno male che sento queste emozioni, altrimenti non potrei fare teatro”, ammette intanto Haber alla vigilia della prima al teatro Quirino di Roma di ‘La coscienza di Zeno’, messinscena tratta dal romanzo di Italo Svevo, per la regia di Paolo Valerio che ne firma anche l’adattamento con Monica Codena, dopo il debutto nazionale a Trieste, “applauditissimo con la sala strapiena, anche di giovani, fino al loggione che da tempo non veniva riaperto”, riferisce l’attore.
Un’ansia molto in linea con il personaggio di Zeno Cosini e con la psicoanalisi di Sigmund Freud che permea il racconto di Italo Svevo. “Certo: dirò di più, questa coscienza di Zeno è un po’ anche la mia coscienza, potremmo sottotitolare il lavoro come la coscienza di Ale… Durante le prove, ho iniziato a riflettere su di me, a fare un esame di coscienza su tutto l’arco della mia vita – ‘confessa’ Alessandro Haber – Questa messinscena ha lasciato comunque intatti tutto il carattere del personaggio e l’atmosfera del romanzo”.
Ma Haber ha mai promesso a sé stesso ‘questa è l’ultima sigaretta’? “L’ho detto, certo; e non ho mantenuto. Ho iniziato a fumare dall’età di Zeno Cosini e non ho mai più smesso; forse è una forma di autodistruzione, ma dopo sessant’anni di sigarette, i miei polmoni sono miracolosamente quasi intatti”, rivela. E, restando in tema di salute, assicura: “Oramai ho abbandonato la carrozzina, sostituita con una stampella e con l’amore totale per questo lavoro, depressione a parte davanti alla quale però non mi sono mai dato per vinto”.
Tornando al testo, è più difficile recitare un’opera che nasce per la lettura e non per il palcoscenico? “Diciamo che recitandola diventiamo un po’ anche autori di un romanzo parallelo che affianca quello ufficiale scritto dall’autore. Si tratta di un’operazione sempre più presente a teatro, che riproporrò con ‘La signora del martedì’ di Massimo Carlotto con Giuliana De Sio. Il mondo letterario ci regala tante storie, tante tragedie, tante verità talora inaspettate, che meritano di andare in scena”.
(di Enzo Bonaiuto)