(Adnkronos) – “Non dite che non ve lo avevamo detto. Dismettere le Usca”, le Unità speciali di continuità assistenziale istituite nel marzo 2020 per aiutare a gestire lo tsunami Covid sul territorio, “era una pessima idea. Leggi e regolamenti permettevano di tenerle in piedi fino al giugno 2022”, ma “praticamente tutte le Regioni le hanno dismesse ben in anticipo” per motivi economici. Però “ora, con un aumento dei casi che giunge come una tempesta perfetta nel bel mezzo di un’ondata di calore, e con le crisi ataviche di personale nei nostri reparti di emergenza-urgenza, la mancanza delle Usca si sente, eccome”. Lo sottolinea l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, docente di Igiene all’università del Salento.
“Mai farsi sorprendere da Sars-CoV-2”, ammonisce l’esperto su Facebook. “Chi diceva che l’errore più grande che avremmo potuto fare dopo la pandemia sarebbe stato dimenticarne la lezione, aveva ragione”, riflette. Le Usca, ragiona, sono state smantellate prima del tempo per “ragioni di budget. Legittimo”, ma “le Usca costavano troppo? Se ne poteva rivedere il modello – osserva Lopalco – per esempio rimodellandole con un solo medico, o affiancandole con team di infermieri esperti dotati di attrezzature di telemedicina. Quanto costa ora un paziente con la febbre che si presenta ad un pronto soccorso affollato? E quanto costa un ricovero che avremmo potuto evitare se solo ci fosse qualcuno che prescrive al paziente a rischio una confezione di antivirale?”, chiede l’epidemiologo.
“Se vogliamo ‘convivere con il virus’ – avverte – dobbiamo lasciarci alle spalle la sanità dei legacci burocratici. La sanità di domani deve essere molto più flessibile e reattiva. Perché il virus – chiosa Lopalco – quando decide di mutare, non chiede il permesso al ministero delle Finanze”.