(Adnkronos) – Le parole di Mario Draghi hanno un peso diverso. Perché vengono lette in Europa, e in Italia, come un’indicazione vincolante: chi ne ha sempre apprezzato la visione le percepisce come una direzione da seguire, chi al contrario l’ha contestata le percepisce comunque come una posizione con cui dover fare i conti. Quello che dice oggi all’Economist sul nuovo Patto di stabilità, “tornare passivamente alle vecchie regole sospese durante la pandemia sarebbe il risultato peggiore possibile”, richiama gli stati membri alla responsabilità di trovare un accordo che non sia, semplicemente, un pericoloso passo indietro.
Nell’Eurozona, secondo l’ex presidente della Bce, servono “nuove regole e più sovranità condivisa”. Sulle nuove regole spingono soprattutto gli Stati, come l’Italia, che non possono avere alcun vantaggio nel ritorno all’austerità pre-Covid. Sulla condivisione di sovranità c’è invece un dibattito più articolato e complesso, con le spinte nazionaliste che, in Italia e in altri Paesi europei, vanno nel verso contrario, quello di un’interazione meno stringente e con più spazio di manovra dei singoli Stati.
Draghi, però, va oltre. Spiegando a cosa si riferisce quando afferma che la scelta peggiore sia quella di tornare al passato, allarga la riflessione dalla sfera economica a quella geopolitica. “Le strategie che nel passato hanno assicurato la prosperità e la sicurezza dell’Europa, affidandosi all’America per la sicurezza, alla Cina per l’export e alla Russia per l’energia, sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili”. Con la guerra in Ucraina che sembra ancora lontana da una soluzione, in ballo c’è soprattutto il ruolo dell’Europa. “Deve ora affrontare una serie di sfide sovranazionali che richiederanno ingenti investimenti in tempi brevi, tra cui la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione”, osserva l’ex premier italiano.
Una necessità che però va costruita con nuove regole. Perché oggi, ragiona ancora Draghi, “l’Europa non dispone di una strategia federale per finanziarli, né le politiche nazionali possono assumerne il ruolo, poiché le norme europee in materia di bilancio e aiuti di Stato limitano la capacità dei Paesi di agire in modo indipendente”. Quindi, Draghi vede il “serio rischio” che l’Europa fallisca su diversi piani: “non raggiungendo gli obiettivi climatici, non garantendo la sicurezza richiesta dai suoi cittadini e perdendo la sua base industriale a vantaggio di regioni che si impongono meno vincoli”.
Non è solo l’abituale confronto dialettico tra le fazioni ‘più Europa’ e ‘meno Europa’. Con un approccio simile a quello del ‘whatever it takes’, marchio di fabbrica della determinazione necessaria a salvare l’Euro durante la crisi del debito sovrano, oggi Draghi torna a parlare pubblicamente per dire che serve ‘un’Europa diversa’. (Di Fabio Insenga)