(Adnkronos) – (di Elvira Terranova) – “Posso essere sincera? A me quel Messina Denaro lì non fa alcun effetto. Né caldo né freddo. Davvero. Non mi dice nulla. Per me non esiste, non lo calcolo neppure…”. La voce di Rosaria Schifani, vedova di Vito Schifani, uno dei tre uomini della scorta di Giovanni Falcone, morti nella strage di Capaci, è ferma. Risoluta. Senza incertezze. E’ sul treno per andare a Pescara, dove domani ricorderà la strage di 31 anni fa. E al telefono con l’Adnkronos ripercorre i momenti dopo quel 23 maggio che con un bimbo di pochi mesi le ha strappato il giovane marito, Vito Schifani. Uno degli angeli custodi di Giovanni Falcone. Rosaria Schifani aveva appena 22 anni. Chi non ricorda quelle parole pronunciate dal pulpito della chiesa San Domenico, durante i funerali? “Io vi perdono ma voi vi dovete mettere in ginocchio”, disse. Non seguendo quanto scritto sul foglio che le aveva passato il parroco, don Cesare, dopo la ‘supervisione’ del vescovo.
Lei cambiò, a sorpresa, le parole scritte su quel foglio: “Adesso, rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, ma certamente non cristiani: sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono. Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però… – disse -Se avete il coraggio di cambiare… di cambiare. Ma loro non vogliono cambiare, loro, loro non cambiano, non cambiano… Se avete il coraggio di cambiare radicalmente i vostri progetti, i progetti mortali che avete…”. Oggi, a distanza di 31 anni da quella giornata, Rosaria Schifani, che da quasi 30 anni vive in Liguria, dove si è risposata, dice: “Se rivedo quella ragazza lì penso che avrei l’abbracciata e le avrei detto: ‘Brava, hai detto quello che hai pensato’. Quando alla camera ardente mi diedero il biglietto con la preghiera a leggere io dissi tra me e me: ‘Ma non posso leggerla’, però era l’unico modo per salire sul pulpito e dire quello che pensavo. Così non ho detto nulla. Non so neppure io da dove presi quella forza. Il Signore mi ha dato quella opportunità”.
E aggiunge: “Poverino, don Cesare. Penso di averlo messo in difficoltà quel giorno…”. Poi dice: “Ognuno di noi ha una forza da dimostrare, ma ci vuole il momento giusto. E quello lo era. Anche altre donne lo avrebbero fatto. Vito mio era l’amore della mia vita, ed era ingiusto averlo ucciso. Contro i vigliacchi bisogna urlare, non bisogna stare zitti. Sono sempre stata un po’ ribelle, contro le avversità della vita”. E ricorda quando l’ex capo della Polizia le diede una busta con dei soldi, come anche agli altri parenti delle vittime. Ma lei non li volle. “Non volevo fare la spavalda con Parisi, in quel momento mi è sembrata una cosa brutta prendermi quella busta. Altri la presero.”.
Dei processi, lunghi, 31 anni, non ha molta voglia di parlare, Rosaria Schifani. “Meglio non addentrarci – dice- in questo momento è meglio starne fuori. Dico solo una cosa: Ma è normale che i processi durino da 31 anni? Evidentemente c’ qualcosa che non va… Ha ragione Fiammetta Borsellino”. In questi giorni è in libreria il suo libro, dal titolo “La mafia non deve fermarvi”, edito dalla casa editrice Rizzoli, dove Rosaria Schifani racconta la sua vita. Dalla sua infanzia a Vergine Maria, un quartiere povero di Palermo fino alla strage, alla decisione di lasciare la sua città e trasferirsi in Liguria, con un bimbo di 3 anni, il piccolo Emanuele, che oggi è capitano della Guardia di Finanza.
Ma perché scrivere il libro 31 anni dopo la strage? “Quel manoscritto lo avevo in un cassetto, lo avevo a suo tempo inviato a una piccola casa editrice ma non se ne fece niente. Penso che ci sia per ogni cosa il suo tempo. Mi piace raccontarmi, ho avuto delle vicissitudini particolari, anche di salute. E ho voluto mettere dei pezzi della mia malattia, ho deciso di condividerla per aiutare altre donne che hanno fatto il mio percorso”. E ancora: “Ho voluto ricordare la mia Palermo, il mio quartiere Vergine Maria. Ricordo il mio vissuto degli anni 80, dalla mia infanzia, agli anni 90”. “E’ stato difficilissimo – ammette -ci ho messo anni per rimettere a posto tutti i tasselli, non è stato facile”. Una infanzia e una adolescenza un po’ difficili, con un padre all’antica. “Ho frequentato le magistrali perché mio padre me lo aveva imposto, ma ora ho fatto pace con il passato, con mio padre, con alcune persone”. “Forse ci voleva tempo…”, dice ancora all’Adnkronos.
“Noi dobbiamo perdonare noi stessi e chi ci sta vicino”. E per perdonare noi stessi? “Per quello ci vuole tempo…”, dice. “Ho cercato di essere più gentile con me stessa, ho fatto anche psicoterapia – spiega Rosaria -sa, la perdita di una persona cara, come mio padre, mi ha creato tanta tristezza. E nel libro ho ripercorso tanti passaggi dolorosi, ma che mi sono serviti a crescere”.
Rosaria Schifani è diventata vedova, come detto, ad appena 22 anni. Come si fa a superare un dolore così forte come quella dell’uccisione del marito? Con un figlio di pochi mesi? “Non si supera”, risponde secca. “Ma si continua a vivere, prendi e inghiotti tanti bocconi amari. I primi tempi ci sono tanti amici, poi piano piano la gente torna nelle proprie case, allora devi combattere da sola. Sei vedova con un bimbo, ti rimangono solo i familiari e qualche amico, tutto va a scemare. Forse è anche giusto così…”, dice ancora all’Adnkronos.
“Io e mio figlio siamo cresciuti insieme, lui mi dava energia di potere andare avanti. Forse avrei voluto cambiare il contesto di crescita, tanto è vero che nel 1995 decisi di andarmene. E’ stata una grande benedizione, ma non perché non mi piacesse Palermo, bensì per farlo vivere in un contesto più sano”. “Io e mio figlio il dolore ce lo siamo condivisi, io mi sono risposata e ho trovato un ragazzo che gli ha fatto da padre ma dentro di se ha un dolore che non passerà mai…”.