(Adnkronos) –
Sanzioni alla Russia. Ancora, nonostante sia passato un anno e tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina. Perché l’Unione europea, sulla scia di quanto già fatto dagli Stati Uniti, continua a insistere sulla necessità di isolare ancora di più Mosca? Se lo chiedono sia i sostenitori delle nuove misure, nella speranza che siano efficaci, sia i detrattori, convinti che sia uno spreco di risorse soprattutto per chi, Europa in testa, è costretta a pagare le conseguenze di un mondo sensibilmente più stretto.
Le notizie che arrivano da Bruxelles, ovvero che la Commissione europea sta lavorando a un undicesimo pacchetto di sanzioni, dicono che l’economia continua a essere considerata un’arma con cui l’Ucraina, e la comunità internazionale che la sostiene, alla lunga possa vincere la guerra. Le motivazioni e il tipo di misure su cui si sta lavorando aggiungono che il tentativo che si vuole fare è di rendere più difficile aggirare le limitazioni che già ci sono. Il nuovo pacchetto, ha spiegato il portavoce capo dell’esecutivo Ue Eric Mamer, “si concentra sulla messa in atto delle sanzioni, sulla loro efficacia, su come evitare che vengano aggirate”, evitando che i beni prodotti nell’Ue la cui esportazione in Russia è vietata “trovino una strada per arrivare in Russia e al suo complesso militare-industriale”.
Evidentemente, e questo lo dicono i dati, se è vero che le sanzioni hanno fortemente indebolito l’economia russa, è vero anche che in parte gli effetti delle sanzioni sono stati vanificati dalle triangolazioni con gli Stati amici. Semplificando, se Mosca esporta verso la Cina e la Cina poi esporta verso l’Europa, si allunga il giro ma il risultato è che continua ad affluire, seppure indirettamente, denaro nelle casse di Putin. Per questo l’indiscrezione rilanciata dal Financial Times, ovvero che Bruxelles intende imporre sanzioni anche a sette aziende cinesi per il sostegno dato alla macchina da guerra russa, ha un peso consistente.
Questo, per diverse ragioni. Primo perché sarebbe la prima volta e una scelta del genere peserebbe non poco sui rapporti tra Bruxelles e Pechino. Secondo, e forse aspetto ancora più rilevante, perché sarebbe una di quelle mosse escluse finora che invece sarebbe ora considerata indispensabile per innescare una svolta.
Per compiere un passo del genere, con tutte le conseguenze che vanno messe in conto, si deve essere convinti che ne valga la pena. Archiviato l’inverno, che ne piani di Putin avrebbe dovuto facilitare il collasso di Kiev, e con l’ipotesi di una controffensiva ucraina tutta da verificare nella sua consistenza, indebolire ancora di più i rifornimenti finanziari di Mosca, andando anche a toccare il supporto cinese, vorrebbe dire scommettere che Putin possa essere costretto a fermarsi per mancanza di risorse. Vorrebbe dire, nelle aspettative europee, vincere la guerra con l’economia. (Di Fabio Insenga)